Riprendiamo il viaggio dalla Collina d’Oro, dove ci accompagna il prof. Ottavio Lurati: «I nomi dei carnevali spesso e volentieri corrispondono a quelli attribuiti alle comunità locali; e altrettanto spesso sono gli altri ad affibbiarli in base all’aspetto fisico degli abitanti, al loro carattere, alla presenza di animali, ad antiche tradizioni... I motivi sono insomma diversi».
Partiamo da Agra, dove c’era il Carnevaa di Picón. «Gli abitanti di questo villaggio sono detti picón, picchi, uccelli che con il loro becco vigoroso si aprono nidi nei tronchi un poco vecchiotti. I picchi, un tempo, erano diffusi nei boschi della zona. Quelli di Montagnola sono invece i Sciguétt, civette, pure in questo caso in virtù della loro massiccia presenza in loco». Chiude il cerchio Gentilino, dove troviamo i Balerín. «Qui vale la pena segnalare una particolarità risalente alla seconda metà dell’Ottocento. Il carnevale della gente comune era preceduto di una settimana da quello dei sciuri, le famiglie benestanti, che provvedevano a distribuire riso ai meno abbienti, i quali lo vedevano di rado. In pratica era un’opera di beneficenza, effettuata anche altrove, che si è poi trasformata in tradizione gastronomica, tanto che oggi il risotto è il piatto per antonomasia dei nostri carnevali». I bagordi hanno insomma avuto, e hanno tuttora, il merito di unire e avvicinare le persone. Per quanto riguarda la Collina d’Oro, Lurati rileva sorridendo come «il carnevale è persino riuscito a far collaborare, attorno a caldaie e luganighe, liberali e conservatori, che per anni si erano guardati in cagnesco...».
Zan, Cassée e Portasalam
Ad Arogno non è tanto Re Becco quanto la festa dei Zanett a prendere la scena. Stiamo parlando del carnevale dei bambini e dei ragazzi, pur se l’accezione è riduttiva perché questo evento è un unicum per longevità, storia, caratteristiche e cerimoniere. Una storia antichissima, che risale al Settecento, anche se documenti ufficiali non ne esistono.
Di probabile origine veneta, la tradizione è stata portata nel villaggio della Val Mara da emigranti, maestranze che passavano da Venezia per andare a lavorare in Boemia e nelle corti europee nordiche. Zanett deriva in effetti dal dialetto veneto: zuaneti, giuvinett, giovincelli.
Ecco come vanno le cose. I ragazzi più grandi, di quarta media, scelgono tra loro i tre responsabili della manifestazione: Re Zan (la massima autorità), il Cassée (cassiere) e il Portasalam (addetto alle vivande). Ruoli molto ambiti. Nel libro «Memorie di cose minute» (Fontana edizioni), l’ex sindaco Celso Tantardini ricorda con nostalgia le feste dei Zanett della sua gioventù. «Al Zan si dovevano obbedienza e rispetto, la sua parola era legge. Il Cassée aveva la responsabilità delle finanze, che a quel tempo consistevano in poche decine di franchi. Il Portasalam batteva il paese per raccogliere luganighe e cotechini destinati ad arricchire la pasquiröla, il pranzo del giovedì, solitamente a base di risotto, riservato ai maschi in età scolastica».
Ogni martedì e giovedì sera – a partire da tre settimane prima della festa – tutti i bambini e i ragazzi in età scolastica percorrono strade e piazze con campanacci (i «ciocc»), bussando alle porte delle case per chiedere dolci e vendere i biglietti della lotteria che servirà a finanziare l’evento. Una questua molto sentita e dalla quale ad Arogno sono passati tutti.
Arriva il gran giorno, il Giovedì grasso: corteo con carri e musica, pranzo, animazioni pomeridiane e veglione serale. Momento clou è il ballo privato dei tre personaggi tradizionali: dapprima il Zan, seguito dal Cassée e dal Portasalam, ognuno con le rispettive damigelle scelte nelle settimane precedenti.
I Sciuri, i Goss e i Tri Re
A Bioggio è piuttosto chiara l’origine del Carnevaa di Sciuri: in paese risiedevano diverse famiglie benestanti. Da noi interpellato, Agostino Lurati ci impartisce una bella lezione di storia, andando ben oltre la superficie. Parla del Comune malcantonese tra ville e templi, Celti ed Etruschi, Franchi e nobili. Varrà senz’altro la pena approfondire l’argomento in un altro contesto. Per il carnevale, ci limitiamo appunto a dire che l’appellativo i Sciuri da Biöcc «sta a indicare che qui risiedevano persone importanti. Del resto, a Bioggio ancor oggi vive una comunità di un certo livello».
Ad Agno non si accontentano di un sovrano: ne hanno tre. Ne «Un ritorno alla tradizione - Carnevaa di Tri Re» – lavoro di diploma di Marina Piattini alla Scuola superiore alberghiera e del turismo di Bellinzona (anno scolastico 2013-2014) – scopriamo nomi di promotori, dettagli organizzativi, programmi, ecc... Leggiamo che «nel febbraio 2014 il comitato del Carnevaa di Tri Re, nato un anno prima, ha voluto proporre festeggiamenti ad Agno. Nel centro del Comune non è mai stata organizzata una manifestazione del genere, che per contro in passato ha avuto luogo nelle frazioni di Cassina e Serocca». Dal 2014, l’evento carnascialesco anima per quattro giorni il Comune malcantonese. Il lavoro di Marina Piattini ripercorre anche la storia dei festeggiamenti a Cassina e Serocca. Nel primo caso, il Carnevale Re Barin ha debuttato nel 1960 su impulso di sette abitanti del posto ed è proseguito fino al 2005; a Serocca (Re Barlica), a prendere l’iniziativa è stato un gruppo di mamme, poi affiancato da giovani.
Passiamo ai Goss di Bedano. Due le chiavi di lettura forniteci da Giorgio Tognola: «Da una parte si può ipotizzare che la gente del villaggio fosse particolarmente affamata, mangiona. Oppure l’appellativo potrebbe essere legato alla disfunzione della tiroide: ecco i gozzuti».
A Canobbio, dove pure il carnevale è quello di Goss, incontriamo il presidente Luca Morsanti. «Ho fatto qualche ricerca tra gli anziani e sfogliato i libri del paese. Il nome Goss ci è stato affibbiato perché a tavola non ci tiravamo indietro... Tanto meno nel bere: si diceva che se i canobbiesi riuscivano a trovare le chiavi della cantina, la liquidavano!». Di queste passioni parla in effetti una canzone che risale ai primi anni ’60, «L’inno di Goss»:
«Mangia tu
che mangio anch’io,
bon appettit, bon appettit
che famm che g’hu
famm anca mi
e mangia e bev e mangia e bev
insema a mi.
Aih, aih, aih, aih
che mal da panza,
con tanti lüganig e stu bon risott
a pò mörì anca i Goss».
Sgarbelée, Sbefard e l'asino
La vulcanica truppa del Carnevale Ur Sgarbelée di Comano quest’anno ha giocoforza dovuto tirare i remi in barca. Ma non del tutto... «Non abbiamo rinunciato al tradizionale giornalino satirico, distribuito da una Sgarba-pattuglia giovedì 11 febbraio nelle strade e nei nuclei del paese – ci dice il presidente Valerio Soldini – Il giorno seguente, dalla Sgarba-cucina uscirà invece pasta al sugo per gli allievi delle scuole». Per quanto riguarda l’origine del nome «Sgarbelée» – ovvero «graffiatore» – nemmeno gli anziani hanno potuto fornire informazioni chiare. «Dovrebbe comunque avere una connotazione positiva, gente presente, che fa, con spirito pungente».
Percorriamo qualche centinaio di metri e arriviamo a Cureglia, dal 1964 terra del Carnevaa Sbefard. Il comitato è attualmente presieduto da Tullio Martinenghi. «Verosimilmente, l’appellativo “I Sbefard da Cürea” trae origine dalla nostra propensione a sbeffeggiare, schernire, ironizzare».
La signora Anna Maria Brilli aggiunge un elemento curioso che merita senz’altro di essere approfondito: «Il nostro giornalino di carnevale si chiama “Sbefardon” e in copertina – indipendentemente dai temi sviluppati al suo interno – compare sempre la figura di un asino, in ricordo dell’avventura di un nostro compaesano ciabattino, Andrea Brilli». Ne parla il racconto «Le orecchie dell’asino» di Curzio Curti, pubblicato negli anni venti del secolo scorso in un libro per le scuole elementari.
Ecco alcuni passaggi. «Era mezzanotte, e il ciabattino di Cureglia passava sul ponte del Gaggio. Arrivato alla risvolta di fronte all’angolo sporgente del cimitero, col dorso della mano si stropicciò ripetutamente gli occhi; gli tremarono le gambe e un sudore freddo gli bagnò la fronte... Due mani scarne sporgevano su dal muricciuolo e si muovevano, facendogli segno di entrare nel camposanto! “Jesusmaria!” esclamò Andrea e via attraverso i campi. Dopo un lungo giro, arrivò, spaventato e ansimante, sulla piazzetta davanti all’umile casa dov’egli abitata». Lì incontra un gruppo di giovani e spiega cosa gli è capitato: «Fui sul punto di essere preso da un povero morto!». Racconta delle mani sopra il muro del cimitero, orribili mani che lo chiamavano. E i ragazzi: «Ah, ah, ah! Bella questa! Andiamo a vedere!». Entrarono nel camposanto e qualcosa, là in fondo, effettivamente si muoveva. Ma era un asino che brucava tranquillamente le cime delle erbe alte: «Le sue lunghe orecchie, volte in avanti sorpassavano il muricciuolo, ed erano appunto quelle orribili mani». Insomma, il ciabattino Brilli aveva fatto una figura da... asino.
Gregge, mazza e frati
Nel libro «Mezzovico-Vira, storia e storie» di Raimondo Locatelli troviamo i motivi per cui il carnevale si chiama Ciòra & Salám. «Nei tempi passati, allorquando la gente era dedita prevalentemente all’agricoltura e le capre risultavano presenti in gran numero, i pastori del luogo erano soliti radunare il gregge al grido di “ciòra, ciòra”, che significa “venite, venite”». Da qui il soprannome attribuito agli abitanti di Mezzovico. Quelli di Vira sono invece i Salám «a ricordare le mazze casalinghe dei tempi passati, quando nelle cantine, nelle credenze o appesi ai soffitti facevano bella mostra salsicce, cotechini, mortadelle o lardo». La Società carnevale Ciòra & Salám, fondata nel 1983, si distingue per vitalità e intraprendenza. Oltre all’appuntamento carnascialesco, promuove in effetti anche la suggestiva Cursa di asan ed è presente con altre iniziative a favore della popolazione.
Il logo del carnevale di Morcote si prende gioco dello stemma comunale, che nella parte inferiore presenta una scrofa con numerosi poppanti, simbolo di abbondanza e fecondità. Come ci spiega Marco Brughera, il motivo è legato «ai frati antoniani di Vienna, stabilitisi a Morcote nel Medioevo e che l’avevano quale loro emblema». Nella parte superiore dello stemma compare invece una pastorella seduta su un mucchio di covini di frumento in un prato fiorito, simbolo questo della libertà comunale conquistata dai morcotesi contro il podestà e il castellano. Il logo del Carnevale Morcotese – dal 1988 presieduto da Giuseppe Ardizio – inverte i volti: il maiale ha quello della pastorella, e la pastorella quello del maiale.
A Pura sono testardi
Il carnevale di Pura è detto Berinopoli. Perché mai? Semplice: gli abitanti erano (e forse sono tuttora) soprannominati «berin» o «beritt» poiché ritenuti testardi quanto i giovani montoni. Ne abbiamo parlato con Pia Rusca, il cui marito è stato per molti anni re del carnevale e redattore, con alcuni amici, del giornalino ricco di scherzose notiziole locali, simpatici pettegolezzi, fotografie…
Quando è nato il carnevale di Pura? La data esatta non siamo riusciti a scoprirla, ma esisteva già negli anni '70 ed era presieduto da Giancarlo Ruggia (anche presidente del patriziato). Poi, tra il 2009 e il 2010, la gestione è passata nelle mani de I Trinciapolli, il cui stemma rappresenta proprio un pollo che cerca di sfuggire a un minaccioso paio di forbici. Fino al 2020 I Trinciapolli ideavano ogni anno un carro, con a bordo personaggi in costume; quindi invitavano i rappresentanti di altri Comuni, che giungevano a bordo di variopinti barrocci; infine, tutti assieme, formavano un corteo e si recavano al capannone allestito presso il campo di calcio. Naturalmente i malcantonesi (e non solo loro) accorrevano numerosi e, dopo aver applaudito la sfilata, si accomodavano sulle panche per ascoltare musiche, assistere a simpatici spettacoli e gustare un delizioso pranzetto a base di risotto, cotechini, caffè e carnascialesche frittelle.
Torniamo al passato, agli anni '70, quando la bandella del paese girava di casa in casa a suonare e raccogliere offerte per finanziare il carnevale. I membri del comitato organizzavano il corteo, il grande ballo serale presso il salone comunale e la risottata in piazza. Per i bambini erano previsti giochi vari, tra cui la corsa con i sacchi. Più tardi la festa è emigrata nel piazzale-prato sotto la Gesora: è qui che la Compagnia del lavatoio (tuttora attiva) ha fatto il suo debutto.
a.r.