di Marco Martucci
Chiederete: cosa c’entrano i virus col tabacco? È una storia appassionante, che vogliamo ripercorrere, brevemente, insieme.
Come ogni pianta e ogni essere vivente, anche il tabacco (Nicotiana tabacum) si ammala. Fra le malattie del tabacco, ce n’è una nota come «mosaico del tabacco». Fra i sintomi che le han dato il nome, ci sono tipiche macchie di colore giallastro sulle foglie della pianta, che non muore ma mostra chiari segni d’indebolimento e cresce a stento.
Sono anni che dalle nostre parti non si vedono più i campi di tabacco, un tempo familiari. Ma il mosaico del tabacco colpisce anche decine di altre specie, fra cui le ben note petunie dei nostri balconi e il pomodoro. Le foglie dei pomodori, oltre a mostrare le tipiche macchie a mosaico, avvizziscono e si deformano, mentre i pomodori presentano macchie gialle e strane forme.
Il mosaico del tabacco danneggia i raccolti ed è una vera piaga per l’agricoltura. Penetra nella pianta attraverso piccole ferite ed è diffuso dai resti di piante infette rimaste sul suolo e anche dalle mani dei contadini, che hanno toccato altre piante o prodotti del tabacco, come sigarette o sigari.
Più piccolo di un batterio
Grandi e famosi scienziati – il francese Louis Pasteur (1822 - 1895) e il tedesco Robert Koch (1843 - 1910) – avevano dimostrato che le malattie infettive sono provocate da «germi», ossia da microscopici esseri viventi. Fra questi, i più piccoli noti allora erano i batteri. Ma lo stesso Pasteur, per alcune malattie (peraltro da lui guarite, come la rabbia), non era riuscito a individuare i germi, nemmeno col microscopio. Erano troppo piccoli. Forti delle conoscenze acquisite da Pasteur, altri scienziati vollero individuare le cause del mosaico del tabacco.
Il russo Dmitrij Ivanovskij si mise a cercare un batterio dentro le piante malate. Nel 1892, fece un estratto di foglie infette e lo passò attraverso un filtro di porcellana, che avrebbe dovuto trattenere i batteri. Con il liquido filtrato riuscì comunque a infettare altre piante. Dunque ci doveva essere qualcosa di più piccolo di un batterio, che passava attraverso il filtro e che manteneva il suo potere infettivo.
Cosa fosse realmente, lo chiarì qualche anno dopo l’olandese Martinus W. Beijerinck, professore di microbiologia all’Università Tecnica di Delft. Beijerinck capì che la causa del mosaico del tabacco non era un batterio, ma qualcosa di non cellulare, di molto più piccolo. Chiamò l’agente infettivo «contagium vivum fluidum» e coniò la parola «virus», in latino veleno. Vide pure, giustamente, che il virus, al contrario dei batteri, non era capace di riprodursi fuori da un essere vivente. Era nata la virologia, la scienza dei virus, e ci si rese conto che i microbi non erano tutti fatti di cellule, ma ce ne sono anche di molto più piccoli. Nel 1935, il virus del mosaico del tabacco fu cristallizzato e, poco dopo, si chiarì la sua struttura, fatta di acido ribonucleico RNA e di una proteina. Il virus del mosaico del tabacco fu il primo a essere osservato col microscopio elettronico, inventato nel 1931, che ne stabilì forma e struttura. Fu il primo virus RNA di cui si ottenne la sequenza completa dei geni.
Oltre al tristemente noto SARS-CoV-2, responsabile della Covid-19, si conoscono oggi oltre 5mila specie di virus e si ritiene che ce ne siano altri milioni. Non fatti da cellule, incapaci di riprodursi da soli, cristallizzabili, i virus sfidano la definizione stessa di organismo vivente.
Foto:
Foglia di tabacco malata
Virus del mosaico del tabacco al microscopio elettronico, ingranditi 160mila volte.