#Antichi ricordi | 10/08/2018

Quando a Cadro ci si salutava con un ciao

di Giorgio Pedrazzi

Negli anni cinquanta Cadro era un centro di piccole dimensioni, tutti si conoscevano e si salutavano semplicemente con un ciao. Gli abitanti erano operai e contadini, pochi gli studenti e i professionisti. Ogni famiglia allevava il maiale, conigli e galline, accuditi dalle donne e dai pensionati poiché gli uomini, in maggioranza muratori, lavoravano nel Luganese, nella Svizzera interna e qualche volta all'estero. Dominava in quel tempo il partito socialista, seguito dai conservatori e dai liberali. Cadro era un villaggio agreste, la rigogliosa campagna iniziava ai margini del cimitero, a pochi passi dalla casa patriziale. I campi erano coltivati a patate e a granturco, intercalati dai filari di vigna. Più in basso ondeggiavano le bionde spighe di frumento. A dominare la campagna, l'obelisco sormontato dalla croce, posto tra le due strade vicino alla casa Borelli. Nei pressi della masseria Reali, gestita dai Ballerini, i prati erano destinati alla fienagione, con i grilli che strillavano e di notte le lucciole brillavano. Le persone di riguardo erano il curato don Fedele Canonica, nato a Corticiasca il 21 maggio 1864. Con amore e saggezza, resse la Parrocchia per oltre mezzo secolo. Poi c'erano il dottor Franco Ghiggia, medico condotto; l'ingegnere Secondo Reali con l'amico dottor Pelli, soggiornanti nel cosiddetto castello e il sindaco Battista Pedrazzi. Durante la bella stagione, giungevano a Cadro gli artigiani. Il mugnaio («ul magnan») si installava a est della chiesa con tutto l'occorrente del mestiere: il fuoco, il soffietto e lo stagno per riparare le pentole. Di fronte all'entrata della chiesa l'aggiustatore di gerli, cesti e cestini, sotto il portico l'ombrellaio. A San Rocco, vicino alla fontanella di casa Petralli, si appostava l'arrotino. Transitavano con i loro carri il raccoglitore di cenci al grido «isctrascee», e l'Alberio con il carico di frutta e verdura. I ritrovi pubblici erano il Lengina, il Ristorante Sport, il Canvetto Federale, il Bar Roberto, artigiano falegname e oste, l'osteria Rota e il grotto Alpe Valà, apprezzato per i gustosi formaggini, l'affettato e i gelati casalinghi.

La Virginia e il Pepin allietavano le giornate con mandolino e chitarra. Il ristorante estivo dell'Alpe Bolla, di proprietà del Patriziato, era condotto da Anna e Giuseppe Senny («Picét»), con il tuttofare «Braccio». I commerci in attività erano la Cooperativa di consumo, il negozietto dei Pellegatta e, poco discosto, l'Usego, nella cui gestione subentrò Candido Cominato con la macelleria. Altri macellai erano Paolino Zocchi e Romeo Ferrari. I calzolai erano pure due: Gino Lurati, con negozio al piano terra della casa della signora Marina Martinaglia Bosia; e Pino Ghirlanda, che teneva bottega nella casa Petralli, sotto il portico di via Cantonale. E due erano le panetterie: Alfredo Borelli («ul Frìdol»), coadiuvato dal panettiere Giacomino, e Costantino Colombo («ul Nani») con il figlio Giancarlo pasticcere. Per Sant'Agata non avevano tregua per cuocere le torte di pane preparate dalle massaie. Al posto dell'attuale casa per anziani Bianca Maria c'era il locale delle guardie di confine (a quell'epoca fungeva da capo posto il sergente Ceresa). La Posta invece si trovava presso la casa Pellegatta (gerente Cecilia Pellegatta coadiuvata dalla sorella Angioletta). Da Cadro sono usciti diversi preti: il canonico Manera, parroco di Pambio-Noranco, direttore e docente al Liceo cantonale di Lugano; Giovanni Battista Rocchi, parroco di Ponte Capriasca; Filippo Martinaglia parroco di Villa Luganese poi impiegato nell'Organizzazione cristiano sociale; don Luigi Cansani, maestro di coro, organista, compositore e insegnante nel Seminario diocesiano di Besso, dopo un breve periodo di vicario al Sacro Cuore; don Pietro Borelli attualmente parroco di Mezzovico-Vira. Il Circolo operaio del Boglia è stato voluto da Reno Maestrini. Il primo campo sportivo era alla Farera. Il carnevale invece si teneva sul piazzale del Ristorante Lengina. Pochi conducevano l'automobile: Paolino Zocchi, Romeo Ferrari, Reno Maestrini. Poi circolavano l'autocarro dei Rota e dell'Arcasio Notari, oltre alla moto Sacoche di Guido Zamblera, calzolaio a Pregassona.

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