di Denise Carniel
Credo che ognuno abbia alcuni pezzi di sé sparsi in giro per il mondo. Solo che non lo sa. Ecco perché, a volte, quando ci troviamo in un posto dove non siamo mai stati prima, ci sentiamo così a nostro agio da avere la sensazione di appartenervi.
Come se, in fondo, fossimo sempre stati lì. È così, semplicemente: quello è «uno dei nostri luoghi». Una delle parti di noi che stavamo cercando. Per «ricostruirci» è importantissimo conoscerli. Per riconoscerci. E mai come parlandovi di Lourdes, vi affiderò questo: un pezzo di vita.
Da dove partire per farvi capire quanto l’aver fatto questi pellegrinaggi mi abbia plasmato? Credo di volerlo fare con fotogrammi che sanno di delicata confidenza.
Le corse con la bici rossa
Da bambina, quando osservavo le persone camminare a Lourdes, non vedevo i loro volti, vedevo le loro ferite. Anche oggi, c’è chi ne ha alcune sanguinanti, chi ha cicatrici vistose e chi fa di tutto per nasconderle. C’è chi ha uno di quei tagli che sembrano non guarire mai e chi un’infezione in corso. Nessuno si salva dalle ferite. Nessuno, nemmeno i bambini. E sapete cosa ci porta ad amare in un certo modo e non in un altro? Il dolore che abbiamo provato, esatto.
Le volte in cui ci siamo sentiti invisibili, le parole che ci hanno trafitto, gli abbandoni che abbiamo subìto, gli addii che per forza di cose ci siamo trovati a pronunciare, le morti a cui abbiamo dovuto assistere, le insicurezze che ci portiamo dentro da tempo immemore. Tutto quello che si può dire è che chi ama davvero non si diverte ad allargare i lembi delle nostre ferite, non ci sguazza dentro, non ci si aggrappa. Ma le illumina.
La parola inglese «light» significa sia leggero che luce. Sì, le mie corse sulle strade francesi con la bici rossa, l’odore di lavanda, le risate, mi hanno insegnato questo: se vuoi essere leggera, devi saper trasformare le ferite in feritoie e da lì lasciare entrare la luce. Credo di potervi dire che Dio esiste, e le chiese non sono l’unico posto in cui trovarlo se hai qualcuno che ti regala la sua storia, se da sempre hai ruote e sorrisi nella memoria.
I sogni, la pioggia, la grotta
Un altro fotogramma. Mi ricordo che da adolescente, non è che pregassi. Piuttosto, pensavo che spingersi a vivere dei momenti intensi potesse essere un gioco da fare. Allora, fingendo di essere l’ultima persona rimasta sulla terra, avrei sentito l’estrema importanza di tutto. Mi dicevo: «Se lo vuoi, puoi cantare, ballare, saltare nelle pozzanghere. Puoi essere libera come i gabbiani o le cicogne che una volta fecero il nido sulla chiesa».
Al tempo stesso mi ricordavo di dare un’occhiata all’orologio per essere sicura di non svegliare chi invece stava cercando di sognare. E stare attenta che, con i miei salti, non schizzassi nessuno. A Lourdes non piove poco. Mi incoraggiavo a concentrarmi su ogni piccolo suono, perché è anche nel rumore dei passi di qualcuno che torna a casa, nelle foglie che si muovono con il vento e nella musica che si nasconde la vita. Mi raccomandavo di guardare bene le mani delle persone che amavo perché raccontano tante storie che gli occhi cercano di nascondere. Devo ammettere che c’è stato ben più di un atto di fede alla grotta: conoscermi e conoscere mi ha guarito e salvato.
Il canto di mamma, la bontà di papà
Lourdes da adulta – o presunta tale – è stato, soprattutto negli ultimi anni, il ricordo di mia mamma. Molte volte vorrei scrivere di mia madre, ma farlo significherebbe non solo parlare di lei ma di tutto quello che in questa famiglia è accaduto. E non sarebbe giusto. Non lo sarebbe, per i vivi che non saprebbero accettarlo e per i morti che non potrebbero replicare le loro ragioni. Il tempo risana le ferite e aiuta al perdono ma non elimina i ricordi.
Io avrò sempre nel cuore l’immagine di mamma – soprattutto a Lourdes, dove è sempre stata felice – così come è stata per me: bella, sensibile, forte, fragile, ferita dalla vita. In qualche maniera ho ripagato i torti che lei ha subìto e per molti anni ho vissuto nella sua ombra cercando di renderla felice. Ho avuto per sorte una madre meravigliosa e disperata che ho amato più della mia vita e, se è vero che muore solo chi si dimentica, lei è ancora qui e canta felice, e canta ogni giorno per tutti i giorni in cui ha invece pianto. Lourdes è stato, per lei, un regalo inaspettato, un canto di lode.
Ma partire per una settimana di riflessione è stato ed è anche apprezzare – sempre più genuinamente – mio papà. Un uomo gentile, di poche parole ma di gesti enormi, con il cuore buono, mai buonista, sempre vero. Un uomo che fa del fare la sua bandiera e del capire il suo modo di stare al mondo. La sua presenza, mai invadente ma attenta, ha aiutato a erodere la muffa che mi si era attaccata all’anima. Di uomini così là fuori ce ne sono pochi, capaci di amare se stessi, quindi gli altri. E il suo esserci, soprattutto in quei momenti di introspezione profonda, ha fatto la differenza. Scriverne è il mio modo, un po’ goffo, di ringraziare. Soprattutto parlandone tramite il racconto del luogo che mi ha sempre dato pace.
Tutte le strade conducono a casa
In sintesi, è vero che non vi ho parlato delle messe, del programma fatto di candele che si accendono e hanno il potere dell’intermittenza, quello di non fulminarsi mai e dare calore sempre. Vi ho parlato di quanto, per me, tutte le strade di Lourdes, al di là di ogni credo, acquistino credibilità perché conducono a casa. Dove ci si può sentire protetti, dove ci si può sentire bene.
Come l’aquilone, a cui serve spago per volare alto, per volare libero, questo viaggio mi ha aiutato, anno dopo anno, a essere una persona migliore. Tra bordi che delimitano il rispetto per gli altri e territori da esplorare sempre, come i colori e la meraviglia di chi, a Lourdes, ha imparato a restare, servire, crescere, ribellarsi, sempre donare, senza smettere mai.
Partite con me?
Foto:
Statua della Madonna di Lourdes
Denise bambina sulle strade di Lourdes