Giuseppe Parini

Testo di Andrea Ventola – Illustrazione Elena Ventola Turienzo

Di qua dai poggi irregolari dei calcinacci ammucchiati, dalle montagne di mattoni e dalle bandiere strappate, e di qua dal fragore metallico delle ruspe e dei movimenti pachidermici e letali degli apripista cingolati, nel punto oltre i ferri caldi delle traverse e i legni spezzati, sopra le camionette della polizia e il terreno color ruggine e i graffiti sbilenchi e gli striscioni-arcobaleno, e oltre le fasce bianco-rosse e le transenne perimetrali, sul confine d’un marciapiede bollente, nella sordità del caldo anti-meridiano d’un sole quasi estivo, nonno Burt mi racconta a suo modo il braccio di ferro tra un gruppo di ragazzi che nel corso dei decenni ha cercato di ritagliarsi uno spazio in cui potersi autogestire e l’autorità cittadina.

«Nel 1996 numerosi giovani luganesi occuparono lo stabile degli ex molini Bernasconi a Viganello, obbligando la città a confrontarsi con la questione, che non poteva più essere snobbata. Questi ragazzi volevano uno spazio in cui potersi confrontare civilmente su questioni di natura sociale, politica, economica… E così iniziarono cortei, manifestazioni, concerti… Poi lo stabile degli ex molini, poco dopo l’occupazione, venne incendiato da ignoti e gli autogestiti si trasferirono alla sede dell’ex grotto al Maglio di Canobbio. I tentativi di confronto con le istituzioni si susseguirono senza troppi successi, fino alla concessione dello stabile che vedi qui, l’ex Macello, una sistemazione apparentemente temporanea che però fu, in pratica, quella definitiva. Almeno fino a oggi».

La cosa strana è che nonno Burt non mi aveva portato lì per raccontarmi la storia dell’autogestione luganese, quanto per parlarmi di Giuseppe Parini, poeta italiano del Settecento, a cui era intitolata la via che porta nella piazzetta Paride Pelli, a pochi metri dall’ex Macello. 

«In un certo senso, Nino, le due cose sono collegate» mi corresse quando glielo feci notare. «Parini fu uno dei massimi rappresentanti della corrente illuminista, un movimento culturale, sociale, politico con cui si intendeva dissipare le tenebre dell’ignoranza grazie all’uso della ragione».
Nonno Burt mi spiegò che nel Settecento gli illuministi intendevano emancipare l’essere umano, rendendolo in grado di pensare in completa autonomia, senza condizionamenti di sorta. E questo poteva accadere solo attraverso l’informazione, la riflessione e l’umanità.

«Come il bambino dipende dai propri genitori, allo stesso modo l’uomo dell’epoca dipendeva da leggi imposte e da dottrine che non potevano essere messe in discussione... Gli illuministi, che erano uomini di cultura, volevano invece puntare l’accento sui diritti delle persone, piuttosto che sui doveri».

Gli occhi di nonno Burt scartano nuovamente sull’ex Macello, come se fosse lui il suo vero interlocutore.

«Tutto comincia con la rivoluzione inglese del 1688, quando da uno Stato governato da un re che decideva per tutto e per tutti, si sostituisce una monarchia costituzionale e parlamentare, cioè un governo gui dato da più persone; e cent’anni dopo ecco nascere la prima Costituzione democratica della storia, vale a dire quella degli Stati uniti d’America. Poi vi saranno la rivoluzione francese, che porterà alla caduta di classi privilegiate come la nobiltà e il clero, la lotta per l’uguaglianza, le riforme giuridico-amministrative, la rivoluzione industriale, l’abbattimento della censura, la fede nella scienza, l’apertura alle differenze, la condanna a pratiche barbare come la pena di morte e la tortura...».

Giuseppe Parini, prosegue nonno Burt, era per la vicina Lombardia un emblema in questo senso. Un punto di riferimento talentuoso e sagace.

«Nacque nel 1729 a Bosisio, a pochi chilometri da Milano, e per tutta la vita non lasciò mai il territorio lombardo, scegliendo di dedicarsi interamente all’impegno civile e sociale».

Come tanti giovani della sua epoca, Parini, a causa delle difficoltà economiche, deve prendere i voti se vuole continuare a studiare. Così, seppur privo di una vera vocazione, eccolo abbracciare il cammino sacerdotale, pur di potersi dedicare alle lettere.
«La sua indole di libero pensatore lo porta a confrontarsi con l’Accademia dei Trasformati, una società di intellettuali che intende mantenere viva la tradizione letteraria lombarda pur accettando le novità; e qui Parini inizia il suo percorso di formazione che lo porterà a battersi per i diritti dei suoi concittadini».

Se i Trasformati propongono come tema la guerra, ecco Parini prendere una posizione pacifista e antimilitarista nei versi sciolti Sopra la guerra, condannando l’ipocrisia, l’ambizione e la volontà di sopraffazione dei potenti; se i Trasformati propongono il tema del fuoco, egli lo affronta nel componimento «Auto da fé», dove condanna i roghi della Santa Inquisizione e la morbosa curiosità del pubblico davanti ai supplizi degli innocenti...

«Possiamo definirlo come un dissidente pronto a battersi per le proprie idee: nei Ciarlatani e nella Cicalata smaschera infatti i falsi filosofi, proponendo non di rivoluzionare la società di punto in bianco, ma di correggere prima se stessi e i propri errori morali; nell’Innesto del vaiuolo si schiera a favore della scienza, avvallando la vaccinazione antivaiolosa; nella Salubrità dell’aria si scaglia contro l’amministrazione milanese, che stava avvelenando la campagna per una mera questione di profitto; nel Bisogno spiega come solo con l’appianamento delle disuguaglianze sociali si possa migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini...».

Ma per nonno Burt era il Dialogo sopra la nobiltà il suo vero capolavoro.
«La trama è semplicissima: un nobile e un poeta vengono sepolti nel medesimo cimitero. Il nobile si lamenta del fatto che non vengano rispettate le distanze sociali e il poeta, allora, comincia a smantellare tutte le bugie di cui il nobile è convinto».
«Ad esempio?».
«Il nobile si reputa superiore per il fatto di aver aiutato economicamente molte persone, ma il poeta gli fa notare che in realtà questi erano soltanto dei leccapiedi che ora parlano male di lui; il nobile, inoltre, è nato nello stesso modo del contadino e la potenza dei suoi avi è stata spesso al servizio della sopraffazione e non della giustizia. La falce della morte, del resto, come disse Manzoni, pareggia tutte le erbe del prato».

Così, più il dialogo prosegue, dice nonno Burt, e più il nobile si rende conto di essersi fidato dei pregiudizi e delle convinzioni errate della classe dominante. Ma se in vita avesse trovato qualcuno coraggioso come il poeta, capace di dargli dello sciocco e di criticarlo seriamente, l’autocritica lo avrebbe migliorato come uomo.

«In ogni società che si rispetti è importante avere un movimento capace di esprimere civilmente il proprio disaccordo sulle tematiche più disparate» concluse nonno Burt. «Voltaire, del resto, diceva che anche se non condivido la tua idea, darei la vita affinché tu la possa esprimere. Questo è il grande insegnamento degli illuministi e oggi, più che mai, è bene ricordarlo».
 

Leggi tutto l'articolo
sull'edizione del 25.06.2021

Accedi per leggere Abbonati

#Gli eroi di nonno Burt

#Gli eroi di nonno Burt
Robert Walser
#Gli eroi di nonno Burt
Francesco Pastonchi
#Gli eroi di nonno Burt
Gino Strada
#Gli eroi di nonno Burt
Vincenzo Cardarelli
#Gli eroi di nonno Burt
Vladimir Petkovic