Da adolescente, chi scrive aspettava con impazienza l’uscita dell’Eco dello Sport. Il settimanale, diretto da Pablo Foletti, piaceva per diversi motivi. Personalmente, tra i principali c’era anche l’articolo «di colore» – scritto in punta di penna, con ironia e sarcasmo – di tale Claudio Meier. Che poi ho ritrovato sulle pagine sportive del Corriere del Ticino, prima che diventasse, in giornali diversi, un collega della cronaca di Lugano. Sempre pronto alla battuta e sorridente, era uno dei più piacevoli da avere accanto. Cinque anni fa è scomparso dai radar. L’abbiamo scovato a Santo Domingo...
Iniziamo la chiacchierata con una breve biografia...
«Ho 70 anni e ho passato la prima infanzia a Poschiavo, paese di cui sono originario. Dopo il divorzio dei miei genitori mi sono trasferito con mia madre a Cremona, dove ho fatto tutte le scuole fino alla maturità. Mi sono poi spostato a Losanna per frequentare l’università, Facoltà di lettere. Nel 1980 sono stato assunto dal Corriere del Ticino e mi sono quindi trasferito a Lugano. Mi sono sposato due volte e ho tre figli con le mie due mogli, e due figliastri dalla seconda. Nel 2019, al pensionamento, sono andato a vivere a Santo Domingo con la mia seconda moglie – che è originaria dell’isola – e la nostra figlia minore».
Il giornalismo è stata una passione precoce? Quando hai deciso che sarebbe diventata la tua professione?
«Il giornalismo è entrato nella mia vita a 22 anni, quando ero ancora all’università e come tanti studenti fuori dal Ticino ho cominciato a collaborare con la redazione del Corriere per le cronache sportive, in particolare il basket. Eravamo negli anni ’70, all’epoca del boom. Verso la fine dell’università ho cominciato a guardarmi in giro, il giornalismo era sicuramente la prima scelta, perché una delle mie poche doti è la facilità di scrittura. Il CdT dapprima mi disse che non stava assumendo, quindi esplorai altre possibilità, feci un concorso alla Rsi (l’anno in cui venne assunto Enrico Carpani, quindi immaginatevi la concorrenza…) ma senza esito. Poi all’improvviso mi richiamarono dal Corriere: avevano deciso di ampliare la redazione sportiva e mi chiesero se mi interessava un posto di stagiaire. E lì – a Ferragosto del 1980 – è cominciata una storia durata quasi quarant’anni».
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