#Via da Casa | 30/11/2021

La carriera negli USA con il cuore in Ticino

Cresciuto a Medeglia e sposato con Samuela di Camignolo e padre di due figli, Andrea Negrini era responsabile del servizio post-vendita alla Oemb di Giornico. Nel 2014 si avvera il sogno di partire con la famiglia oltre oceano.

di Ivana Aldi Molgora

Quali circostanze l’hanno portata negli Stati Uniti?
«Professionali, nel senso che la ditta per la quale oggi lavoro, la Roper Whitney, aveva acquistato dal mio precedente datore di lavoro Oemb un progetto con diritto di produzione per tutto il Nord America. Per facilitare le operazioni, mi è stato chiesto di trasferirmi negli Stati Uniti e condividere le mie conoscenze nel ramo. Io e mia moglie avevamo già intenzione di provare un’esperienza all’estero, ma non prima che le figlie fossero state indipendenti. La proposta è arrivata ben prima. Non è stata una decisione facile, abbiamo riflettuto a lungo su ciò che stavamo facendo: abbandonare tutto, la famiglia, il lavoro, con due figlie ancora piccole. D’altro canto, sapevamo che non accettare avrebbe significato rimpiangere più in là l’occasione perduta. Per cui a fine dicembre 2014 abbiamo impacchettato tutto, affittato la casa e siamo partiti».

Come ha vissuto il trasferimento e con quali difficoltà iniziali si è dovuto confrontare?
«Con un contratto di lavoro firmato e un avvocato pagato dalla ditta a occuparsi del visto, pensavo che il trasferimento sarebbe stato tranquillo. Niente affatto… Le pratiche hanno richiesto più tempo del dovuto e dunque non avevo la possibilità di acquistare un’auto, affittare una casa o avere una qualsiasi forma di prestito. Come se ciò non bastasse, il mio credit score – punteggio che attesta la solvibilità nel ripagare i debiti – per me che arrivavo dall’estero partiva da zero e incrementarlo, senza visto, era impossibile. Insomma, l’inizio non è stato dei più facili. Anche per il resto della famiglia, abituarsi alla nuova cultura e al nuovo ambiente ha richiesto tempo. Ci abbiamo messo un paio d’anni prima di sentirci a nostro agio e a “casa”. Un consiglio a chiunque voglia tentare una simile avventura: fare tutto con estrema calma e procurarsi il visto prima di partire!».

Rispetto al Ticino, come giudica la qualità della vita negli States?
«Su questo si potrebbe scrivere un libro… Dove abitiamo noi, a Roscoe in Illinois – un’oretta e mezza a ovest di Chicago – la qualità e lo stile di vita in linea di massima sono simili al Ticino. Il paesaggio però è piatto, non ci sono rilievi e le prime colline sono a 3 o 4 ore di macchina. Il cibo è tipicamente americano o “americanizzato”; di solito evitiamo ristoranti italiani in zona per non restare delusi. Per trovare qualcosa di decente, bisogna recarsi nelle grandi città. Abbiamo perlomeno la fortuna di abitare vicino al Wisconsin, lo Stato produttore di formaggio dove ci sono alcune ditte casearie gestite da svizzeri e New Glarus, la copia di un tipico paese d’oltralpe. Almeno da questo punto di vista siamo a posto... Ora abbiamo una casa di proprietà, il mio lavoro prosegue bene, mia moglie Samuela e le figlie si sono integrate. Giada ha appena iniziato il college, mentre Ambra è all’ultimo anno di liceo».

 

A -35° non si può fare granché

Ci descriva la sua città.
«Roscoe è un paese di circa 10mila abitanti. Gli spazi sono vasti – casa nostra ha un terreno di 4mila metri quadrati ed è nella media – siamo quindi lontani dalle dimensioni cui siamo abituati in Ticino. La vita sociale pure è diversa, le feste di paese e i bar sono vissuti in un altro modo. D’estate ci sono parecchie cose da fare tra fiere, gare di macchine, feste country…, l’ideale per me, che sono parecchio festaiolo. D’inverno, per contro, si ferma tutto. Fuori ci sono -35 gradi, quindi non è che si possa fare granché. A 20 minuti da noi si trova Rockford, seconda città per grandezza dell’Illinois, con 150mila abitanti; in un paio d’ore di macchina si può invece raggiungere Chicago che, dal mio punto di vista, è una delle città più belle degli Stati Uniti».

E sul lavoro? Ritmi e dinamiche sono diversi?
«Grazie alla mia precedente attività, ho potuto girare il mondo e lavorare con gente del posto in Asia, Africa, America, Australia e in tutta Europa. Quando sono arrivato negli Stati Uniti avevo già una mezza idea e devo dire che siamo ben lontani da ritmi e qualità visti in Europa. Come si direbbe in dialetto, “i mor mia d’infiamazion…” Inoltre, la qualità del lavoro è piuttosto bassa, non c’è quella cura del dettaglio a cui noi svizzeri siamo (forse troppo bene) abituati. Per non parlare delle condizioni: vacanze quasi inesistenti, mancanza di apprendistato, privilegi e contratti collettivi solo per pochi. Nonostante ciò, la meritocrazia esiste anche per chi non ha titoli di studio. Basta avere capacità, ambizione e determinazione. Personalmente, malgrado non abbia un master, in questi anni ho scalato le gerarchie: partendo da responsabile del servizio dopo vendita, passando per responsabile di ricerca e sviluppo, fino ad essere ora il direttore tecnico. In Svizzera, sarebbe stato estremamente difficile».

Pregi e difetti degli americani: qualche aneddoto particolare?
«Gli americani a prima vista sono cordiali, è però dura farseli amici. Conosciamo gli stereotipi che li riguardano, e devo dire che molti purtroppo corrispondono al vero. La colpa non è loro: il Paese è enorme, si parla una lingua sola e chi non ha la fortuna di poter viaggiare non sa cosa sia il mondo oltre i confini (più del 30% degli americani non è mai uscito dal proprio Stato!). Ovvio che per loro il mondo è gli Stati Uniti e ciò che sta al di fuori interessa poco. Non si confrontano con altre culture, se non con quelle che arrivano qui, ma che comunque devono essere adattate al loro stile di vita».

 

Ci conoscono per il coltellino svizzero

Quale immagine hanno della Svizzera?
«Ben pochi hanno avuto la fortuna di andare in Svizzera. Ancora oggi, dopo quasi 7 anni, alcuni dei miei colleghi o amici pensano che sia svedese! Questo già la dice lunga… Inconcepibile poi, il fatto che abbiamo 4 lingue nazionali. Ciò che ci identifica maggiormente è il coltellino, quello sanno cos’è. Invece la bandiera da loro viene usata per identificare alcuni primi soccorsi: la croce bianca anziché rossa. Diciamo che sono parecchio confusi al riguardo. Oltre a questo, sanno che si trova in Europa, ma la maggior parte non sa esattamente dove. In ogni caso, quasi tutti, quando dico che sono svizzero mi chiedono con stupore cosa ci faccio qui. Evidentemente hanno almeno una vaga idea della Svizzera come Paese dove si sta bene».

La sua famiglia e i legami con il Ticino: ci tornate spesso?
«Io e mia moglie abbiamo quasi un centinaio di parenti in Ticino, per cui il nostro legame è e resterà forte. Cerchiamo di tornare ogni anno in estate per almeno un paio di settimane. Sfortunatamente l’anno scorso il Covid ci ha messo del suo. Certo, è stato un brutto periodo per tutti, ma vivere all’estero credo abbia pesato di più, dopo 2 anni senza tornare in Ticino è stata dura. Quest’estate abbiamo comprato la casa di mia nonna materna a Bogno, per cui ora abbiamo anche una base per quando facciamo ritorno. È mia moglie a tornare più spesso, poiché i suoi genitori sono più in là con gli anni dei miei. Per fortuna le tecnologie aiutano a colmare le distanze. A volte penso a mio bisnonno, anche lui emigrato».

 

«Sogno salumi, pizza e formaggini»

Cosa le manca di più?
«Chiaramente la famiglia e gli amici di sempre e purtroppo, quando torniamo, abbiamo il tempo contato. Quest’anno poi, dopo un’assenza di due anni e con una casa da sistemare, abbiamo passato giorni interi in macchina per andare a fare visita a parenti e amici. Sempre con il cronometro in mano… una cosa bruttissima, ma purtroppo per riuscire a vedere tutti si è dovuto fare così. Speriamo l’anno prossimo sia meglio e che sopratutto si possa ritornare, Covid permettendo. Oltre alle persone, mancano le montagne, i paesaggi del Ticino e il cibo. Non so perché, quest’anno sopprattutto il cibo… Ho letteralmente passato notti a sognare affettati, pizza, formaggini e altri piatti tipici. Certo è che poi ho recuperato, e tornato dal viaggio in Ticino avevo messo su 3 chili… mai stato più felice di essere ingrassato!».

In che misura questa esperienza l’ha cambiata?
«Mi ha cambiato parecchio e credo che lo stesso valga per gli altri membri della famiglia. Ovviamente la lingua ha di per sé un grosso valore e confrontarsi con una diversa cultura ti apre gli occhi sul mondo. Come detto, avevo già avuto esperienze simili, ma mai più lunghe di un mese. Qui siamo alla soglia dei 7 anni. Credo inoltre che ci abbia unito di più come famiglia: non avendo nessun altro vicino, dobbiamo per forza contare solo su noi quattro. Infine, direi che un’esperienza all’estero come questa ti fa comunque apprezzare ancora di più la Svizzera e il Ticino. A volte ci scordiamo di quanto fortunati siamo a vivere lì. A volte vedo sui social la gente lamentarsi dei nostri politici, delle nostre regole, di come viviamo in Svizzera. Credetemi, da noi si sta da Dio».

Nei suoi progetti futuri, prevede di fare ritorno?
«Fino a un paio di anni fa la risposta sarebbe stata “Chi lo sa, vediamo cosa ci riserva il futuro”, mentre ora tende già un po’ più verso “Sì, probabilmente”. Ovviamente, prima di una qualsiasi decisione bisogna tenere in considerazione tutta la famiglia. Le figlie devono aver finito gli studi ed essere pienamente indipendenti, poi sarà una loro scelta se restare negli Stati Uniti o tornare in Svizzera. Da come la vedo ora, io e mia moglie prima o poi torneremo in Ticino. Dipenderà anche dal tipo di lavoro che potrò trovare».