Siamo i soliti... Quattro amici al bar dello storico «centrale» di Sessa chini sulla pagina degli antichi ricordi della Rivista di Lugano. Queste vecchie fotografie fanno tornare a galla ricordi della nostra giovinezza, rievocazioni scolastiche, sportive, militari, raramente di lavoro. E sono sempre bei ricordi, quelli brutti preferiamo lasciarli nel cassetto della memoria. Al centro della nostra attenzione è questa volta una foto del 1964 con un gruppo di atleti e accompagnatori in posa davanti al bar Robbiani di piazza Molino Nuovo pubblicata sulla Rivista dell'11 gennaio.
Nel 1964 ero «via per mond» ed alcuni personaggi che vi sono raffigurati li avrei conosciuti qualche anno più tardi. Il Bar Robbiani lo avevo frequentato alla fine degli anni '50. Correvo allora in bicicletta per il Velo Club Lugano nelle categorie giovanili e questa era la sede della società dove ci riunivamo, il lunedì sera, per programmare trasferte, gare o allenamenti. Nella foto riproposta nella pagina accanto riconosco immediatamente, accosciato a sinistra, Armando Libotte, con il quale saremmo poi diventati amici per diversi decenni; il secondo personaggio, in piedi a destra, è il fratello Renato Libotte, colonna portante della Società atletica Lugano. Nel frattempo è arrivata una piccola lente di ingrandimento, che faccio scorrere sull'immagine e forse, sulla sinistra, dovrebbero esserci Pedrotti e Botta: hanno gareggiato pochi anni e proprio mentre io ero assente, dunque non ho ricordi precisi. Al centro con una maglietta che appare grigia, con le mani sui fianchi dovrebbero essere un Poretti, con un fratello che appare dopo due altri atleti, sfoggiando la maglietta della Sal. Quello alla sua sinistra con maglia bianca e i pantaloni della tuta nera è senza dubbio Giorgio Poretti. Il Franco interviene immediatamente: «Ma chel Poret li l'è chel…» «Si l'è lu…» «O coreva mia insema a ti?». «Veramente marciava, anche se a volte…». Ormai l'aggancio è fatto, chiudiamo la Rivista e prorompe il fiume dei ricordi. Giorgio Poretti: chi è costui? In Ticino moltissimi ricordano il suo nome, anche se per collocarlo con precisione nel panorama sportivo cantonale occorre avere il pelo bianco e qualche dolorino di troppo, segno del tempo che fugge.
Anni d'oro della marcia in Ticino
Negli anni '60 e nei primi anni '70 la marcia ticinese viveva una stagione ricchissima. Uscivano lentamente di scena i Caldelari, i Bassi, i Meregalli, mentre irrompevano i più giovani Poretti, Roby e Waldo Ponzio, Gallarotti, Galeazzi, Toscanelli. A parte le Olimpiadi, la competizione a livello mondiale più importante portava il nome di Lugano: «Lugano Trophy», in altre parole il campionato del mondo per squadre nazionali. In Ticino si organizzavano una miriade di gare, dalla mitica «100 km» all'altrettanto famosa staffetta Airolo-Chiasso, mentre quasi ogni domenica si gareggiava in competizioni più o meno strapaesane, che vedevano però sempre la partecipazione di un folto gruppo di atleti italiani e confederati, con la presenza un poco esotica di qualche inglese, russo, israeliano, oppure germanico di gran nome, in vacanza dalle nostre parti. Qualcuno ricorderà ancora queste gare: la Castagnola-Gandria e ritorno, una sorta di Milano-Sanremo della marcia ticinese, oppure la 20 km di Castel San Pietro. Moltissime erano le prove in salita: Castagnola- Monte Bré, Lugano-Sonvico, Lugano-Cureggia, Figino-Carona, Agno-Iseo e altre.
Elastico e scattante come un felino
Erano soprattutto queste gare il feudo incontrastato di Giorgio Poretti. Quante ne abbia vinte non lo so, ma devono essere state moltissime. Era popolarissimo, anche perché la televisione seguiva allora tutti gli appuntamenti e ne dava un ampio resoconto. Ma era soprattutto il personaggio che faceva facilmente presa nell'immaginario: guascone, imprevedibile, dalla battuta pungente, sempre pronto a prendersi gioco di qualche giudice di marcia disattento, non già perché avesse bisogno di barare per vincere, ma per il gusto dello scherzo. Come atleta, specie nei periodi di gran forma, era un modello di stile, elastico e scattante come un felino, dotato soprattutto per le gare di breve durata. Purtroppo, non ha mai avuto un allenatore degno di questo nome in grado di affinare la sua classe naturale e portarlo a risultati ancora più importanti. Ricordo quanto mi disse di lui l'olimpionico Pino Dordoni, allora allenatore della nazionale italiana: «Giorgio Poretti vorrei averlo io in squadra!». «Era più forte di te?» Incalza l'amico. Certamente, specie nelle gare fino ai 20 km, oppure in salita. Ricordo con orgoglio di averlo battuto nella velocissima Castagnola- Gandria e ritorno. Va detto che il mio momento migliore, tra il '75 e l'80, corrispose a un periodo durante il quale il Giorgio era alle prese con problemi di salute. Ma non potevi mai fidarti: dopo alcune gare scadenti, scompariva per un certo periodo, poi si ripresentava, e quando tutti lo davano per finito piazzava un exploit e scompariva di nuovo. Anche questo ha contribuito a farne un personaggio.
A rompicollo giù per la Leventina
Voglio raccontare un episodio, abbastanza emblematico. Correva l'anno 1978 o giù di lì e la Sal Lugano volle costruire una squadra per la staffetta Airolo-Chiasso; a corto di atleti, riusciva a mettere insieme solo quattro staffettisti validi. Mancando il quinto, chiesero a me, che gareggiavo per il Gab di Bellinzona, di riprendere la maglietta bianconera. Stavo ormai chiudendo la carriera sportiva e mi restava poco tempo per migliorare la mia forma precaria, tuttavia raccolsi l'invito, a condizione di fare la prima tratta, da Airolo a Giornico, una trentina di chilometri a rompicollo giù per la Leventina. Contavo sull'aiuto di due fattori, il mio gusto per il freddo (alle sei di mattina, in ottobre, ad Airolo il termometro sfiora facilmente lo zero) e il mio forte agonismo, che mi avrebbe trascinato verso valle agganciandomi al gruppo di testa. Fu proprio l'agonismo a tradirmi: dopo aver battagliato per tre quarti di gara, all'inizio della Biaschina mi trovai letteralmente spompato, facendomi superare da diversi atleti normalmente più deboli di me. Mi trascinai come potevo al traguardo di tratta, dove scalpitava il secondo staffettista. Chi? Proprio Giorgio Poretti. «Dai Giorgio, meteg 'na peza» gli sussurrai con l'ultimo refolo di respiro, mentre lui scattava alla volta di Bellinzona, traguardo della seconda frazione. Dopo una veloce doccia ristoratrice, via in auto a rincorrere il Giorgio per vedere come se la cavava. Lo trovai all'uscita di Biasca. Andava come un razzo e con stile perfetto. La «peza» ce l'aveva già messa, riprendendo un paio di squadre che mi avevano superato nell'ultima discesa e stava piombando come un falco su atleti d'ottima caratura che lo precedevano. La faccio breve: non rallentò fino a Bellinzona e se la memoria non m'inganna batté il record di tratta. Incominciarono subito a circolare storielle su presunti imbrogli che il Giorgio sarebbe riuscito a rifilare a una giuria tutt'altro che sveglia. Nessuno riuscì mai a contestare ufficialmente l'exploit, e io posso garantire che era stato correttissimo! Poi all'inizio degli anni '80, smessi i panni del marciatore, incominciò una seconda carriera nella corsa (soprattutto strada e cross), che doveva dargli ancora tante soddisfazioni. Alla fine ha partecipato a più di 900 competizioni tra corsa e marcia, collezionando, se ben ricordo, dieci titoli nazionali.
Adelio Galeazzi