Una volta i compleanni non si festeggiavano come al giorno d'oggi. Le famiglie con 6, 7 o anche più bambini non avevano certo il tempo o i soldi per festeggiare. Per contro, alcuni onomastici venivano presi in considerazione. Le mamme preparavano una buona torta di pane, oppure una «torta di guerra», grezza ma ottima con tanto di ciliegine sotto grappa infilzate con gli stecchini sulla crosta. All'inizio della primavera, il 19 marzo, ricorre San Giuseppe, e allora si festeggiava alla grande. Non era la festa del papà, come si usa oggi, bensì quella di chi si chiamava Giuseppe o Giuseppina, Giüsepin, Pépin, Pino, Pèppa, Giusi... A Pregassona, oltre alla sagra, la notte del 18 marzo una bandella di due o tre elementi si fermava sotto la finestra delle case abitate da un Giuseppe, una Pina o un Pèpp e suonava un'allegra serenata. E non smetteva fintanto che non si aprivano le finestre delle camere. Bisognava applaudire e i suonatori non partivano se non si buttavano un paio di «cinconi» d'argento, che cadendo rimbalzavano con un suono tutto… argentino. Allora il terzetto se ne andava allegro augurando «a l'ann che végn». Mio padre, Giüsepin, era il primo a ricevere il concertino. A volte era in casa anche sua sorella, Giuseppina. Poi la bandella si fermava nel nucleo di Sara, vicino al Cassone, quindi dal Pépin Triulzi, e in seguito oltre il ponticello dal Pèpp Regazzoni. Continuava verso il nucleo «Fund da Tèra», l'attuale piazzetta San Giuseppe, e lì c'era ul Pèpp Lürà (Lurati) e la Pèppa Gulpa (Volpi). Più su ul Giüsèpp legnaméé (Giuseppe Bertini). La nottata finiva in bellezza sotto le finestre dell'Osteria degli amici, di proprietà dei signori Pepin e Pina Guglielmini, i quali aprivano la porta del locale agli allegri musicanti, dove li attendeva salumeria nostrana, un fiasco di quello buono e i ravioli di San Giuseppe. Il digestivo era un famoso rosolio, un infuso alcolico con petali di rosa macerati. Bei ricordi, gente allegra e tanto calore.
Elena Sopranzi