Oggi Abbondio ha 83 anni, di cui non sembra avvertire il peso, considerando quello che ancora fa, sempre in movimento tra le due terre. Quello che ha fatto, costruito e realizzato lo si vede ripercorso in questa intervista, nel viaggio della memoria e degli affetti. Accanto al lavoro nelle telecomunicazioni e nel sindacato, Adobati ha svolto tre mandati in Consiglio comunale a Melide e per quattro è stato deputato nel Parlamento ticinese. Ma c’è un aspetto aggiuntivo di Abbondio che mi ha sempre incuriosito: la sua duttilità espressiva come attento ricercatore nelle storie personali e di comunità sui due fronti.
Sulla sponda bergamasca si interessa, si documenta, scrive per il periodico di Vall’Alta. Con un suo interessante intervento in questo anno di Bergamo Capitale italiana della Cultura, in coabitazione con Brescia, Abbondio ha messo a fuoco il contributo di Emilio Gamba, «ol Milio barba» per la conoscenza e la salvaguardia – per quanto possibile – del dialetto dei pastori, il «gaì», un linguaggio in codice usato per non farsi capire dagli altri. Un esempio: la luna è chiamata «la lampiusa» che è un bel neologismo con venatura poetica.
Sul versante ticinese, Adobati si prodiga in vari modi per raccontare la storia minore, quella delle persone della quotidianità operosa, la gente feriale di cui nessuno parla. «Quella gente – ha scritto Renato Martinoni, docente di letteratura italiana all’Università di San Gallo – che non ambisce a essere invidiata e che tuttavia lascia dei segni destinati a durare. Sono coloro che, con l’amore e la passione, si impegnano a fare qualcosa di buono. Non per alimentare la propria vanità, o per cercare le luci della ribalta, ma per agire in favore di tutti». Sono piccole biografie di oscuri benemeriti che vengono pubblicate sulla Rivista di Lugano: la storia minore, quella delle persone della quotidianità operosa.
Chi cerca Abbondio non sa mai dove può essere. Una volta al «suo» Santuario di Altino, un’altra nello Spazio culturale Viterbi in Provincia di Bergamo, un’altra ancora a Como, alla festa del Santo di cui porta il nome e ovviamente a Melide, dove risiede di base. Succede con chi persiste «operAttivo» nell’esercizio della concretezza.
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