È innegabile che la vita media – in generale e almeno dalle nostre parti – si sia allungata. Ma vogliamo anche parlare dei contenuti, della qualità? Non è che abbiamo aggiunto anni alla vita, trascurando di dare vita agli anni? La cruciale domanda nasce da svariate situazioni e circostanze nelle quali molti – se vogliamo essere sinceri con noi stessi – si trovano giornalmente.
I più esposti e indifesi sono innegabilmente donne e uomini della fascia anziana davanti all’inarrestabile sviluppo tecnologico e relativa inadeguatezza ai molteplici aggiornamenti da affrontare. Va peraltro chiarito che si tratta di passi imposti per non restare spiazzati o tagliati fuori dall’evoluzione continua. Prendiamo anche solo il campo largo degli smartphone: chi non ha la fortuna di un figlio o di un nipote «navigato», annaspa spesso in una palude dove si procede per tentativi, «smanettando», con relativi rischi di smarrirsi. Una delle immagini più iconiche per raffigurare la stagione delle rughe è quella dei due «vecchi» – parola scritta in caratteri dorati su scatole di latta – che 60-70 anni fa reclamizzavano il cacao della Talmone di Torino. La coppia mette tenerezza anche oggi e illustra con efficacia una civiltà ormai remota, nella quale gli anziani erano circondati dal rispetto e la loro parola, frutto di esperienza, era ascoltata. Nel presente, al di là delle abbondanti e incongruenti chiacchiere per andare incontro al popolo della terza e quarta età, chiunque ha modo di trovare sulla sua strada barriere di ogni genere, dal semplice rifornimento di carburante alle più complesse operazioni bancarie. La gamma degli ostacoli è smisurata e la finalità non dichiarata, ma evidente, è la riduzione progressiva del personale in ogni ambito. I nativi digitali fanno oramai tutto con lo smartphone, riescono a sapere ogni cosa in tempo reale con decine di app, dal traffico alla meteo, diteggiando con velocità fulminea, inarrivabile per un normoattempato.
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