Di Giuseppe Zois
Se le si pone la domanda, lei risponde con riconosciuta eleganza che tutte le tre versioni dicono qualcosa di lei e che preferisce sia ciò che è nello sguardo dell’altro a venirle incontro.
Arduo con lei tentare di prendere le misure di una vocazione e di un impegno espressi sempre con la ricerca della via più alta: sia nell’approccio e nella visione della vita, che camminano nella filosofia; sia nell’insegnamento di questa materia allo storico Liceo cantonale di viale Cattaneo; sia infine nella sua attività di scrittrice di libri, dossier, interventi su giornali e riviste.
Lina sente ed è mossa dall’esigenza di approfondire, aggiornarsi e confrontarsi su più tavoli, in definitiva migliorarsi in continuazione. Rifugge dall’inclinazione a compiacersi e più ancora dal dichiararsi soddisfatta dei risultati (eccellenti) che raggiunge e che le sono peraltro riconosciuti. In questi tratti del suo essere richiama molto – in riuscita sintesi – il carattere dei genitori, Ketty Fusco e Francesco Bertola, protagonisti sempre discreti e mai invasivi nella quotidianità e nella storia di Lugano e del Cantone.
Certo è che Lina detesta la mediocrità, e non ne fa mistero. Tiene mente e cuore orientati ad arricchire il bagaglio della sua esistenza e di riflesso quello degli interlocutori e del pubblico che avvicina in dibattiti, convegni, seminari e corsi di filosofia, i diversi ambiti nei quali si esprime con passione mai allentata. Con il suo spessore linguistico, guida, spiega, accompagna in territori del sapere: letture, concerti, cinema, in un avvincente caleidoscopio di luci e colori. Ed è bello e intrigante stare con lei e poter parlare di mille cose, persone e storie, con cognizione di causa e badando alla sostanza in una società e in un tempo – questo che stiamo attraversando – in cui si fa sempre più esigente la domanda di senso. Lucida nel giudizio, possiede anche l’estro di suscitare amicizie non formali né occasionali, frutto di sensibilità e finezza d’animo.
Se nella filosofia, che è il suo firmamento, ci sono le vie oscure del pessimismo, ecco che Lina Bertola preferisce indicare e far amare le vie lattee dell’ottimismo, della positività, della speranza, dell’infinitamente molto altro che c’è e che sta a ognuno individuare e portare a maturazione. Il viaggio è lungo e le stazioni numerose: dall’interiorità all’apertura, dalla libertà alla responsabilità, dalla cura di sé all’accoglienza, alla capacità di stare accanto. Si trova abbondanza di tali riscontri anche nel più recente lavoro di Lina Bertola, il libro «Kill Venus!» (edizione Dadò). Leggere per convincersi.
Il ricordo dei genitori
Il viaggio con Lina ha una stazione di partenza obbligata: i genitori. Iniziamo dalla mamma Ketty Fusco (attrice, regista e scrittrice). Un mondo di ricordi…
«Mamma è mancata pochi mesi fa. È stato un andarsene lento che porto ancora dentro di me come il ricordo più vivo. Ho negli occhi quella sua ultima dolcezza, il suo sguardo, a volte un po’ in dissolvenza, che custodiva tanti momenti di complicità, il profumo delle sue mani divenute un po’ inquiete. Poi quelle lacrime che sgorgavano all’improvviso, quando le parole non uscivano più. Quelle parole non dette risuonano in me ancora oggi, con la sua splendida voce. E sono il ricordo più dolce e più intenso».
ll papà Francesco è stato l’uomo della svolta, del nuovo corso nella formazione degli apprendisti del Ticino. Ha parole speciali nel suo libro «Kill Venus!». Quale la virtù più ammirata in lui?
«La figura di mio padre è l’anima del mio nuovo libro e forse per questo lo sento come il libro della mia vita. Difficile dire quale sia stata la sua miglior virtù. Ciò che mi ha segnata profondamente è la ricchezza del suo mondo interiore così autentico, quel suo sentimento di gratitudine felice verso la vita con cui mi ha accolto da bambina e con cui mi ha accompagnato fino all’ultimo, come racconto nella lettera a lui dedicata a conclusione del libro».
Stagioni in cattedra
Come vede la scuola, oggi?
«La scuola è un mondo, una sorgente di vita straordinaria. Oggi deve proteggere questo suo “altrove”, custodirlo, alimentarlo. Il rischio di una scuola a rimorchio delle esigenze della società è ben presente, per questo è importante che mantenga la sua identità anche come luogo di resistenza verso le troppe spinte antieducative del nostro tempo. È necessario valorizzare la centralità della figura del maestro».
Dalla sua esperienza, trova che strada facendo sia diventata più complessa la cattedra?
«Ho vissuto due stagioni. La prima da insegnante giovanissima. I miei studenti avevano pochi anni meno di me, il clima del liceo era ancora quello che avevo vissuto io, così come i valori dello studio, della conoscenza erano condivisi.
Con i miei primi allievi ho svolto programmi ricchi di contenuto. Leggevano i filosofi senza troppa fatica, spesso con gioia. Ricordo panini mangiati in aula, durante la pausa di mezzogiorno per continuare la discussione filosofica con gli studenti più interessati.
Momenti indimenticabili. Rientrata dopo un’assenza di quattro anni in cui mi sono dedicata a mio figlio, ho trovato un mondo diverso. Alla fine degli anni novanta, la logica utilitaristica cominciava a orientare anche il modo di percepire il senso della scuola. La bellezza dell’esperienza della conoscenza lasciava piano piano il posto all’utilità di apprendimenti immediatamente spendibili. Ho resistito. Dicevo spesso ai ragazzi che la filosofia è inutile, che non serve, perché non è serva di nulla. Un po’ di sano disorientamento iniziale, poi però la gratuità del pensiero e la sua bellezza mi pareva che venissero accolte, spesso anche apprezzate».
Oggi è più complesso insegnare?
«Certo, e forse un po’ più faticoso. I giovani di oggi non sempre riescono a confrontarsi a lungo con i testi dei filosofi, ma questo mondo inquieto vivacizza la loro intelligenza e con le necessarie passione e applicazione si può comunque fare un bel viaggio educativo. Anch’io ho imparato tanto dai miei allievi».
La felicità e Socrate
Il traguardo più ricercato è quello della felicità, che però sposta di continuo la sua residenza. Lei ha trovato un suo domicilio?
«Recupero della lentezza, silenzio, distanziamento dal mercato dei divertimenti e dei bisogni».
Istruzioni per l’uso?
«L’idea di felicità che ci ha offerto la saggezza degli antichi ci permette di resistere a quelle sirene: riconoscere la felicità come trama di un’intera vita e non consumarla nell’attimo fuggente. Ce lo ricordano anche le parole, una vita felice è una vita che sboccia, fiorisce nelle sue potenzialità, nelle sue virtù. Questa felicità è come un cielo che ci accompagna anche nella tristezza, nelle sofferenze o nelle nostalgie che sempre incontriamo sul nostro cammino. È un tema importante a cui ho dedicato un capitolo del libro e il dialogo finale con mio padre, che per me è stato l’immagine vivente di questa profonda saggezza».
«Baratterei tutta la mia tecnologia per una serata con Socrate» si è lasciato scappare Steve Jobs. Lei che è «familiare» di Socrate, come dimostra anche il suo nuovo libro, che cosa si sentirebbe di barattare per cosa?
«Rimango nel gioco di Steve Jobs. Baratterei tutti i libri in cui Socrate è protagonista per prendere posto al suo Simposio ad ascoltare la sua voce. La conoscenza è scrittura nell’anima, diceva, non nei libri (e infatti lui non scrisse nulla). La voce di Socrate, sì, perché nel suono delle parole spesso possiamo trovare un supplemento di verità».
Interrogare la vita
Di tutto il suo lungo viaggio nella filosofia e tra i filosofi, qual è l’insegnamento che le è servito di più sul piano personale?
«Il mio vivere dentro la filosofia mi ha insegnato quanto sia importante la domanda. La domanda è sempre più grande delle risposte che possiamo dare. Oggi viviamo in un mondo pieno di risposte, di cui abbiamo dimenticato le domande. Un mondo dell’insignificanza, non perché non sappiamo trovare un significato al nostro vivere e convivere, ma perché spesso non lo cerchiamo. Non interroghiamo la vita, il suo senso, il suo valore.
La filosofia è un invito ad andare oltre: a interrogare i dati di fatto, le conoscenze, le forme dell’esistenza. È apertura sul non ancora visto, su ciò che resta invisibile nell’accecante visibilità del mondo che spesso spegne il nostro sguardo».
Verso il finale di «Kill Venus!» lei invita ad «accogliere l’approccio femminile per lasciarlo sbocciare e fiorire nella nostra vita». È il non facile punto d’arrivo per «liberare il femminile tradito negli uomini e nelle donne». In questa caccia al tesoro, qual è l’ultimo decisivo biglietto per giungerci?
«Alcuni generosi lettori mi hanno scritto dicendo che il libro è stato come un viaggio iniziatico verso altre posture del vivere. Fantastica questa risonanza, perché per me è stato proprio così! Come ho cercato di mostrare, una razionalità che calcola e misura ha piano piano escluso e rimosso la ragionevolezza del sentire, l’accoglienza e il dono, la sacra voce del silenzio e il corpo come territorio dell’anima. Un mondo di esperienze, insomma, in cui è custodito l’approccio femminile alla vita.
Liberarlo, credo sia un bisogno molto sentito oggi, negli uomini e nelle donne. È il desiderio di andare oltre il malessere diffuso del nostro vivere e convivere. Nel libro non ci sono ricette, l’ultimo decisivo biglietto offre solo atmosfere possibili in cui percepirsi in modo più autentico, per prendersi cura della propria vita».
Nata a Lugano, Lina Bertola è figlia di Ketty Fusco e Francesco Bertola. Professione: filosofa, docente e scrittrice. Ha insegnato filosofia al Liceo Lugano 1 ed etica alla Scuola universitaria federale per la formazione professionale. Attualmente è freelance, tiene corsi e seminari. Tra le sue pubblicazioni: «Ethique & éducation, un autre regard», «Alla ricerca dell’ignoranza perduta», «Parole della vita. Per un’educazione all’etica», «Kill Venus! - Liberare il femminile tradito negli uomini e nelle donne».