Claudio Bertarelli è un personaggio che sarebbe piaciuto a Sergio Zavoli per la sua creativa condita da una gustosa ironia. Come l’idea di dar vita al gruppo I 30 Saggi (?) Arrotini. Sarebbe davvero entrato dritto difilato tra la folla di protagonisti e comprimari che hanno popolato una passione di vita del grande scrittore. Indimenticabile – per chi ha i capelli grigi (o li ha persi) – il tempo dei Giri d’Italia di metà Novecento e dei relativi «processi alla tappa». Zavoli era imbattibile: un mito. Lui, Claudio Bertarelli – l’uomo di questa cavalcata – sarebbe potuto entrare in doppia veste nella carovana dei pedalatori. Sì, perché Claudio era uno che in sella sapeva muoversi, eccome. Forse avrebbe scelto di fare il gregario, un ruolo più connaturale al suo carattere: che è quello di esserci, vivere da compartecipe con tutte le sensazioni ed emozioni del caso, respirare l’evento fin dentro tutte le pieghe stando un po’ discosto dai riflettori. Poi, finita la corsa – quindi nel corollario del «processo» – cominciava la seconda parte del ricco copione di Claudio. Per mezza vita o forse tre quarti, ha fatto anche il narratore delle corse in bicicletta, qualche classica del calendario, certo, ma occhi puntati sul popolo di chi a fine settimana si allinea ai nastri di partenza per una delle numerose gare sulle strade cantonali.
L’ho visto e incrociato per anni al Giornale del Popolo. Sempre elegante, borsa sottobraccio, arguto nelle battute, capace di sintesi e – quel che più conta – efficace nel cogliere i momenti, le fasi salienti e chi le movimenta. C’erano brio, leggerezza, vaporosità, fascino, inventiva, che non sono un repertorio comune. Si consideri poi che Claudio Bertarelli non faceva il giornalista di mestiere, ma era mosso dall’amore per la disciplina, come s’usava in quei tempi con organici per i quali bastavano e avanzavano alla conta le dita delle mani.