di Roberto Guidi
Abbiamo imparato a disinfettarci e mettere la mascherina, a rinunciare a bar e ristoranti, a salutare i nostri vecchi attraverso un vetro e i nostri amici con il gomito, a limitare viaggi e dimenticare i festival di piazza.
Insomma, abbiamo dovuto fare di necessità virtù e quasi due anni dopo l’arrivo di questo tremendo incubo non si vede la luce in fondo al tunnel. Peggio: quando, a scadenze regolari, sembra intravvedersi, un elemento negativo ci riporta ai piedi della scala. L’ultimo si chiama Omicron, termine sconosciuto fino all’autunno scorso e che ora condiziona pesantemente le nostre vite, con un tasso di contagi mai visto prima accompagnato se non altro da cifre contenute – se così si può dire – di ospedalizzazioni e decessi. La nuova variante picchia duro e la task force della Confederazione in materia di pandemia ammonisce: entro fine mese conosceremo un picco con quarantene, malati e ricoveri da record. Poi la curva dovrebbe abbassarsi per l’alto numero di persone (attorno all’80%) immunizzate attraverso il contagio o il vaccino. Arriveranno la primavera e l’estate – le terze caratterizzate dal Covid-19 – e l’esperienza dice che si starà meglio. Definitivamente? I virologi non si sbilanciano, le incognite restano parecchie e non è detto che si uscirà davvero dal tunnel.
Gli ultimi giorni di dicembre e i primi di gennaio sono intanto stati forieri di novità in Ticino. Mentre c’era, e c’è, la coda per i tamponi (con addirittura una postazione drive-in a Rivera) e per ricevere la terza dose di vaccino, i fari sono puntati sui più giovani. Di fronte a una situazione ritenuta allarmante – e in attesa che il Consiglio federale faccia sentire la propria voce – il governo cantonale ha aperto le iscrizioni alle vaccinazioni per i bambini dai 5 agli 11 anni (ne parliamo a pagina 21) e introdotto l’obbligo dell’uso della mascherina dalla I elementare (prima di Natale si partiva dalla IV). Una misura, quest’ultima, andata di traverso a parecchi, che l’hanno voluto dire forte e chiaro: erano in 400, sabato scorso davanti al palazzo delle Orsoline di Bellinzona, «preoccupati della salute psico-fisica dei nostri figli e nipoti, inseriti in una scuola ormai più orientata alla “medicalizzazione” che a un’educazione sociale, culturale e umana», come riferito dai promotori della manifestazione. Non solo: sono migliaia le firme raccolte da una petizione online che chiede a Manuele Bertoli (direttore del Dipartimento educazione, cultura e sport) di tornare sui suoi passi.
Il consigliere di Stato si fa però forte di un dato: nei primi quattro mesi dell’anno scolastico quasi trecento quarantene di classe hanno colpito soprattutto elementari e asilo, mentre medie e istituti post-obbligatori – dove la mascherina è già in vigore da settembre – se la sono cavata meglio. La quasi totalità dei medici ritiene che, per un breve periodo, la misura non ha alcun effetto sulla salute dei bambini e l’opinione pubblica sembra condividere ampiamente il desiderio del Dipartimento e dei docenti di voler assicurare l’insegnamento in presenza. Insomma, meglio una scuola con le mascherine che una senza gli allievi.
Resta il fatto che – more solito – in questa maledetta pandemia del doman non v’è certezza. Ma soprattutto che siamo tutti sulla stessa barca (sì-vax, no-vax e boh-vax) e in un modo o nell’altro occorrerà, come comunità, raggiungere la riva.