La domenica bianconera inizia di giovedì. È il 21 aprile e il Lugano si guadagna l’accesso alla finale di Coppa svizzera facendo fuori il Lucerna dopo i rigori, con merito ma con tanto batticuore. La Città è travolta dall’entusiasmo, annusa il sapore dell’impresa – già compiuta nel ’31, ’68 e ’93 – e si mobilita per invadere Berna: sono lunghe le code fuori dallo stadio per accaparrarsi uno dei 10mila biglietti che spettano al club. Poi comincia la preparazione verso il 15 maggio: coreografia e sciarpe ad hoc, scelta dei compagni di curva e del treno, acquisto delle torce e della sussistenza. Non si parla d’altro nei bar e negli uffici, nelle piazze e tra amici: «Ci sarai a Berna?», «Ovvio!».
La domenica bianconera inizia di buon mattino. Alla stazione è una meravigliosa bolgia intergenerazionale. I bambini portano la maglia di Bottani, i loro padri quella di Subiat e i nonni ricordano le imprese del più forte di tutti, Otto Luttrop. Una miriade di volti conosciuti, sembra esserci mezza Lugano. Anzi, questa squadra – forse per merito del Crus, davvero «uno di noi» come s’usa dire – attira simpatie e pubblico anche da fuori distretto, soprattutto dal Mendrisiotto e dalla Valle di Blenio, dove l’Fcl era solito recarsi per il ritiro estivo. Il lungo viaggio in carrozza è l’occasione per chiacchierare, giocare a carte, leggere, cantare, ascoltare musica, bere e... grigliare (è successo!). Insomma, stemperare la tensione, perché quando si arriverà nella Capitale tutto andrà tremendamente in fretta: corteo, presa dei posti e sarà già calcio d’inizio. L’impatto con il Wankdorf fa un po’ impressione perché i colori bianconeri sono decisamente in minoranza sui biancoverdi del San Gallo e la nostra coreografia è poca cosa rispetto a quella spettacolare della curva dirimpetto, che però dimostra parecchia spocchia «annunciando» la vittoria. Quando si dice gufare...
La domenica bianconera prosegue come meglio non potrebbe. Pronti, via e cinque minuti da sballo portano al vantaggio di Celar. Si capisce che è la giornata giusta. Mattia Croci Torti era stato buon profeta quando – al momento dell’intronizzazione a inizio settembre e poi a scadenze regolari durante la stagione – si era sbilanciato dicendo che la squadra puntava alla vittoria in Coppa. Il pareggio è un momento di sconforto spazzato via dal gol di Custodio allo scadere del primo tempo. Una botta d’entusiasmo e adrenalina. Alla pausa, sorseggiando una birra, capita di incrociare un bel po’ di vecchi eroi: metà della squadra che ha alzato il trofeo nel ’93 e qualcuno di quella del ’68, a cui sull’ultima edizione della Rivista avevamo dato voce: «Partita difficile e avversario ostico, ma si può e si deve fare!» avevano detto i vari Prosperi, Brenna, Simonetti, Rezzonico e compagni. La ripresa è una lunga cavalcata verso il trionfo, con la rete del figliol prodigo Mattia Bottani a far scendere qualche lacrima. Alla fine, in un pianto liberatorio e tremendamente umano, si lascia andare pure il Crus.
La domenica bianconera diventa apoteosi quando il presidente Ignazio Cassis distribuisce le medaglie d’oro e capitan Sabbatini – affiancato da Maric e Bottani – alza la Coppa. Abbracci felici nella consapevolezza d’aver scritto la storia. Nel tardo pomeriggio si lascia Berna per raggiungere quella che – almeno il 15 maggio – è la nuova Capitale del calcio svizzero. In Città la festa, bellissima e indimenticabile, va avanti a Palazzo Civico e in piazza della Riforma, nei locali e sul lungolago. I giocatori si concedono con generosità al bagno di folla. C’è anche il sindaco Michele Foletti con il braccio al collo: nell’esultanza per la rete di Bottani gli è uscita la spalla!
La domenica bianconera è oramai abbondantemente diventata un lunedì. I brindisi non si contano più e dopo venti ore si potrebbe anche andare a casa... Uno della compagnia non è d’accordo. «Dai, l’ültima e pö nemm».