Ha riscontrato, nei più giovani, un aumento di disturbi legati all’uso eccessivo di nuove tecnologie online o ad altre piattaforme social? «Sì. Il numero di bambini o ragazzi che si intrattengono con i dispositivi è in aumento. E quindi inevitabilmente abbiamo una questione di opportunità e di stimoli che non sono sempre facili da smaltire. Ma il vero focus è un altro: gli schermi, il cui impatto sui ragazzi è diverso. È una questione di stimoli, causati dai fotoni. Gli schermi emanano stimolazioni da radiazioni elettromagnetiche che in qualche modo svegliano le menti. Se manca un lasso di tempo per smaltire questi input prima di coricarsi, diventa veramente difficile dormire serenamente. La regola è quella di spegnere gli schermi almeno un’ora prima di andare a letto».
Non fa distinzione quello che guardano i bambini? «Un’ora di un film horror o di un videogioco cruento è meno grave di sei ore di una serie televisiva come Heidi o Bambi. Questo ha sempre colpito anche me, perché come genitore normalmente ti preoccupi di quello che guardano i tuoi figli, prestando attenzione ai contenuti. Ma a questa età è proprio la durata che fa la differenza».
Come si calcola la durata che i bimbi possono trascorrere davanti a uno schermo? «È matematica e rappresenta un rapporto 1 a 1 con l’età: 5 anni, 5 ore alla settimana, 7-7, 11-11... Molto facile da calcolare anche per i bambini, che sono abili a trovare il loro spazio giornaliero, che non dovrebbe superare le 2 ore per i più grandi. È un’applicazione numerica legata al tempo in cui il bambino è esposto a degli stimoli fotonici. E ricordarsi la regola di spegnere un’ora prima di coricarsi: un controllo oculato in questo senso facilita senz’altro un sonno equilibrato, anche se in mezzo a tanti altri stimoli elettronici non sempre risulta scontato controllare il nuovo mondo dei nostri figli, che si discosta molto da quello che era il nostro, ma non per questo è da considerarsi deviato. La situazione è spesso ingigantita, mentre per loro fa parte delle cose normali. Anche l’approccio ai contenuti è diverso: noi adulti cerchiamo dei significati, loro guardano tanto per guardare. È un’attività più passiva che ha un piglio meno attento e attivo».
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