I cimiteri sono diventati il luogo dove ci si incontra, ci si rivede, si fa memoria di chi ci ha preceduto, ma anche del nostro tempo passato, di amicizie lontane. Tra i viali dei cimiteri c’è l’identità di un paese, si vive l’appartenenza.
Ho conosciuto e conosco intellettuali e inviati speciali che mettono i cimiteri tra i primi posti delle loro frequentazioni. Penso a padre David Maria Turoldo che andava «a trovare i morti, che sono più vivi dei vivi e ci fanno compagnia e ci vedono dal di dentro». Confessava che dalle tombe traeva l’ispirazione per cantare inni alla vita: ha dato un’anima poetica ai Salmi. «La morte è una componente della vita, una compagna, capisci? In essa trovo equilibrio e da essa traggo forza e coraggio». Nel documentario «L’eterno ragazzo del Friuli», del nostro regista televisivo Leo Manfrini, è fissato un momento densamente umano delle visite di Turoldo al cimitero. Era un giorno d’inverno e sulle nude piante c’era un vestito di galaverna che luccicava al timido sole. Dopo la benedizione impartita sulla tomba di una giovane madre, il frate friulano – già minato dal «drago insediato al centro del ventre come un re sul trono» – proseguì verso il fondo del cimitero. Poi, alzando sicuro il braccio, puntò l’indice e spiegò: «Guarda quelle piante, le vedi, Leo? Sembra che la vita sia morta in loro e invece dentro si preparano per altre esplosioni, percorse dalla linfa che farà sbocciare nuove gemme dopo il freddo dell’inverno».
Lo stesso Leo Manfrini teneva i cimiteri come una importante bussola per cogliere il clima umano dei luoghi di mezzo mondo in cui si recò, raccontandocelo nei suoi densi reportage. E non era raro incontrarlo nei suoi cimiteri di riferimento, Savosa e Cademario, che ricorrono nelle narrazioni delle pagine del suo ultimo libro «Sigarette e cimiteri», dove «colloquia» con i familiari e gli amici.
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