L’appartenenza non deve diventare dipendenza: per questo luganese doc è stata una scommessa vincente. Con la Città – dov’era nato nel 1927, aveva frequentato le scuole fino alla maturità classica, imparando il mestiere di scalpellino nell’atelier del padre Dante a Molino Nuovo – Gianfranco Rossi è riuscito a stabilire un rapporto di reciprocità. In altre parole, un dare e avere nei confronti dell’ambiente quotidiano, da cui ricavare stimoli di segno opposto: creativi e critici.
Quando il giovane architetto – laurea a Losanna e dottorato al Politecnico di Milano – inizia la sua attività in via Trevano 8, già laboratorio paterno, Lugano sta vivendo la stagione euforica del boom economico-finanziario che, a partire dagli anni 60, favorì l’edilizia speculativa. Si costruiva e in pari tempo si demoliva, affrettatamente, in vista di un buon affare, senza interrogarsi sulle conseguenze sociali ed estetiche, trascurando possibili alternative. Quali il recupero e la riabilitazione dell’oggetto costruito, basati su valori storici e artistici da identificare. È una prospettiva che si chiama «restauro critico». Gianfranco Rossi la scopre durante il tirocinio, in una tappa a Vicenza, presso lo studio di Carlo Scarpa, architetto e designer di prestigio internazionale, considerato proprio il padre di questa tecnica abbinata a una visione culturale…