Nel secondo Dopoguerra, e forse anche prima, le guardie di confine avevano l’abitudine di «pelare» i contrabbandieri. Tagliare loro i capelli in modo da poterli agilmente riconoscere nel caso fossero stati di nuovo presi in castagna, affinché non potessero dire «no, guardi, è la prima volta che faccio questa cosa». È un ricordo tutto sommato innocuo in relazione a quegli anni di confine poroso, specie rispetto ad altri – c’è per esempio chi evoca con tristezza l’uccisione nei boschi di tre contrabbandieri, «ammazzati come cani nei monti, poveri diavoli» – ma che permette di farsi un’idea di come fosse la vita qui un secolo fa.
Con una particolarità: sono parole da ascoltare ancora prima che da leggere. Vale a dire ricordi evocati dalla viva voce di chi quel periodo l’ha vissuto, attraverso una sessantina di interviste – rigorosamente in dialetto – effettuate dai militi del Consorzio protezione civile Regione Lugano Campagna, servizio Beni culturali e raccolte nell’Atelier della memoria. Interviste ad anziani svolte in oltre quindici anni (e che non si limitano al tema del contrabbando, anzi) e in parte rese disponibili a chi volesse ascoltarle su un apposito sito internet, recentemente rinnovato nella grafica e di agile consultazione (atelier. pciluganocampagna.ch). Interviste tuttora in corso: ne sono appena state effettuate altre sette.....