Nella mattinata, gruppi di conoscenti, amici, colleghi e politici lasciavano il posto di lavoro, l’ufficio o il negozio per recarsi in piazza della Riforma, dove si mettevano in fila in attesa della distribuzione della gialla vivanda che veniva servita unitamente all’appetitosa salsiccia o luganiga.
La cottura del risotto era uno spettacolo al quale assistevano numerosi sfaccendati. S’iniziava con l’accensione dei fuochi sotto le caldaie di ghisa, in un primo tempo usando la legna che dava un certo sapore di affumicato al risotto. Successivamente, vennero usate le bombole a gas, creando meno lavoro agli addetti alle caldaie. In quegli anni il risotto veniva preparato da un gruppo di esercenti e dai loro aiutanti, i quali, immancabilmente, indossavano giacche e grembiuli bianchi, cappelli da cuoco e berretti candidi, che davano una parvenza di serietà, uniformità e pulizia agli addetti alla cucina.
Al gruppo dei politici era riservato uno spazio cintato, dove fra il serio e il faceto si discuteva animatamente. Talvolta i problemi di interesse pubblico venivano affrontati con prudenza, semplicità e genuinità, ma non mancavano l’animosità mista alla scaltrezza, il vociare concitato e a volte incontrollato. Non si contavano i motti arguti e ogni sorta di facezie intese a sbeffeggiare e sminuire l’avversario politico. All’arrivo del risotto, le discussioni effimere e immotivate terminavano lasciando campo a commenti sulla gastronomia, sulla salute, sul tempo e altro.
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