di Luca Brunoni
La vicenda di questo dipinto si inserisce in un percorso d’amore al bello di cui la piccola chiesa è custode discreta. Una chiesa amata da parroci e parrocchiani, che di generazione in generazione si sono prodigati in interventi di costante e progressivo abbellimento, l'ultimo dei quali è stato affidato a Giovanni Gasparro, pittore contemporaneo cui era in passato già stata commissionata un'opera raffigurante Santa Monica. L'opera dedicata a Sant Antonio da Padova reinterpreta un controverso affresco di Carlo Cotti realizzato alla fine degli anni '60.
A testimonianza di questo possiamo citare il Bollettino del Natale 1970 in cui l’allora giovane parroco, padre Beda Cozzi, scriveva: «Lo so, voi ne siete orgogliosi di avere una chiesetta che primeggia fra le tante del Ticino, ma permettete che vi dica un mio segreto sentimento verso la vostra Chiesa (perché è vostra), io ne sono innamorato forse più di tutti voi perché ho la vaga sensazione di averci messo, in quest’opera di abbellimento, un pezzo del mio cuore! Non importa se nel giro degli anni un altro prenderà il mio posto, ciò che importa è la coscienza di aver fatto il mio dovere e di avervi lasciata la casa di Dio come ciascuno di voi la vuole e la desidera: un Santuario».
Nello stesso spirito, pochi anni prima già l’architetto Augusto Guidini aveva promosso un’azione di rifacimento dell’altare dirimpetto alla venerata e artisticamente notevole Cappella della Madonna del Rosario, dedicato a Sant’Antonio. Vennero trovati nei fratelli Neuroni i donatori disposti ad assumersi i costi di realizzazione dell’opera, offerta in memoria dei genitori: maestro Giuseppe ed Emma Neuroni. Secondo i piani dell’architetto Guidini si sarebbe dovuto intervenire con la «rimozione dell’altare esistente, di stile non adatto all’espressione secentesca della chiesa ed eseguito con materiali d’imitazione e sostituzione con un altro altare di stile secentesco adatto al carattere della chiesa e delle parti antiche conservate della cappella. L’altare nuovo sarà da eseguire in marmi policromi, con una nicchia destinata ad accogliere la statua di Sant’Antonio o meglio ancora una pittura (quadro o pala d’altare ad olio) od eventualmente un affresco».
Il controverso affresco di Carlo Cotti
L’altare venne realizzato nel 1965 secondo il progetto dell’architetto in pregiato marmo d’Arzo e la scelta della committenza relativa all’immagine del Santo cadde sul pittore Carlo Cotti, che nel suo ampio e variegato percorso artistico già aveva dimostrato interesse per l’arte sacra, cogliendolo nel momento di passaggio dalla fase figurativa, sempre più stilizzata, al materico completo delle composizioni di fine anni ’60. Venne quindi progettata e concordata un’opera murale a rilievo.
L’opera del Cotti fu quindi un’espressione di tale sua inclinazione artistica, tanto però da discostarsi dal bozzetto presentato e approvato dalla Commissione arte sacra presieduta dall’allora vescovo Martinoli. Con essa nacque – per questa ragione e sulla scorta di una difficoltà di ricezione popolare e della stessa committenza – un contenzioso. Scriveva in proposito Cotti: «Pacifico quindi che se anche ho trascurato di attenermi strettamente al bozzetto iniziale, per dare come fa ogni artista, un risultato migliore, che l’ambiente della chiesa dove lavoravo mi ha, direi imposto, il mio lavoro non solo artisticamente, ma anche religiosamente è ineccepibile». L’avviso negativo della Commissione, che era giunta sino alla minaccia di distruzione dell’opera, non subì variazioni, ma si concluse nel riconoscimento del lavoro dell’artista, invitando la committenza al saldo conclusivo del dipinto murale. Qualche anno dopo, la festa del Santo venne celebrata il 18 giugno 1967 e l’altare inaugurato con la celebrazione delle cresime da parte di mons. Raffaele Forni, eletto quel giorno pro nunzio in Siria.
Problemi di coesione strutturale
È rimasto tuttavia aperto, sino ai nostri giorni, il giudizio espresso da Cotti su questa sua opera specifica. Se da un punto di vista artistico essa è testimonianza di una fase di transizione importante nel percorso del pittore, da un punto di vista conservativo, a oltre cinquant’anni di distanza iniziavano a emergere problemi di coesione strutturale. Questo ha richiesto il recente intervento – effettivo, ma discreto e impercettibile – delle restauratrici Virginia Mantovani e Vanessa Erber, volto ad arrestare lo sbriciolamento superficiale dei granellini d’intonaco grezzo, ora consolidato.
Più controversa ancora la questione sollevata dall’artista Cotti nel giudicare la sua opera religiosamente conveniente. Egli sosteneva infatti: «Come è capitato ad altre opere d’arte, molta parte del popolo che ora, come si dice, non capisce, finirà per accettarla e capirla». Ma su quest’aspetto occorre tuttavia testimoniare che, a distanza di tanti anni, se non l’affezione visiva ormai consolidata nel popolo fedele, quantomeno la riconoscibilità del soggetto è andata scemando – finanche all’occhio specialistico – tanto da confonderlo con un indistinto «San Giuseppe» o con una generica «Madonna col Bambino».
Non però di certo – ed è questo il senso profondo dell’evento artistico promosso – il riconoscimento dell’intercessione del Santo dei miracoli da parte di un gruppo di devoti che ha voluto sperimentare nuovamente, in più occasioni, il valore religioso e devozionale proprio di questa specifica cappella. L’esaudimento delle intenzioni presentate ha suscitato un desiderio di lasciarne un segno tangibile, come spesso il patrimonio artistico delle nostre chiese ne è testimonianza.
Il figurativo realista di Gasparro
L’occasione si è presentata perché nella chiesa di Sant’Ambrogio già in precedenza era stata commissionata un’opera, raffigurante Santa Monica, proprio al pittore Giovanni Gasparro, il quale è sembrato essere colui che al momento potesse virtuosamente inserirsi in dialogo con il contesto artistico della chiesa nel rispetto dell’intenzione iniziale dei committenti del restauro della cappella di Sant’Antonio. Si è quindi chiesta la disponibilità all’assemblea parrocchiale alla ricezione di tale dono, non senza prima aver consultato la Commissione arte sacra, i Beni culturali cantonali e il Patrimonio artistico della Città di Lugano, ottenendo l’indicazione di una soluzione espositiva che non intaccasse in nulla l’opera preesistente attraverso uno speciale telaio metallico che la renda all’occorrenza completamente fruibile, ma che garantisca al contempo sicurezza e stabilità al nuovo dipinto.
La proposta messa in campo dall’artista Gasparro in questa sua tela consiste in un recupero profondo della dimensione figurativa, secondo i canoni e le tecniche espressive sviluppate nell’epoca coeva all’apparato decorativo della chiesa, offrendo tuttavia una dimensione di contemporaneità. Questo non solo nelle dinamiche e innovative pose dei soggetti, ma nelle tematiche suggerite, così come egli stesso ha illustrato nel suo intervento esplicativo: «Abbiamo considerato Sant’Antonio come grande Santo dei miracoli, ma anche come grande mistico, quindi abbiamo voluto dare questa accezione anche alla nuova opera d’arte e proprio per questo l’abbiamo presentato nella sua visione di Gesù Bambino. Ed è bello anche farlo adesso a ridosso delle festività natalizie in cui Nostro Signore si è presentato a noi sotto le forme di infante. E anche in questo abbiamo cercato di rappresentare Gesù come un bambino quasi avvolto nella luce, di tonalità ambrate, che è una luce mistica senz’altro, ma per certi versi ricorda anche il grembo materno».
Un’opera quindi che si fa veicolo anche di un messaggio forte e attuale, promosso da esempi luminosi come quelli della giovane madre, Serva di Dio, Chiara Corbella Petrillo, di cui è in corso il processo di beatificazione e le cui date di nascita (9 gennaio) e di morte (13 giugno, festa di Sant’Antonio) corrispondono significativamente a quelle di questo dipinto. Ed è per questo che, riprendendo le parole di saluto di don Claudio Premoli, presidente della Commissione diocesana arte sacra, si può concludere sottolineando che: «La Chiesa ha sempre tenuto in onore le arti e le ha sempre usate nella liturgia per rendere gloria a Dio. Forse ci dobbiamo ricordare di questo, perché ce ne siamo spesso dimenticati non mettendo in pratica in maniera giusta quel che dice il Concilio».