La storia dei convitti e delle giovani emigranti ticinesi sarebbe rimasta sconosciuta senza un interesse specifico e sforzi di ricostruzione. Conclusa la stagione che ha documentato le vicende di numerose personalità femminili ticinesi, l’Associazione archivi riuniti delle donne Ticino (Aardt) ha deciso di focalizzarsi in futuro sulla conservazione e la valorizzazione delle testimonianze di una storia che viene dal basso e che molto può raccontare sul panorama culturale e sociale del tempo. Ce ne parla la presidente e storica Yvonne Pesenti.
Il 25 novembre del 1902, il vicesindaco di Signôra, in Val Colla, prende carta e penna per redigere una lettera indirizzata a suor Edvige Bossart, direttrice del convitto Windisch, un istituto annesso al cotonificio di Gebenstorf, nel Canton Argovia. Comunica alla religiosa di aver ricevuto 20 franchi da Anselmina Morresi, originaria di Signôra; la minorenne lavora in quella filanda e, come altre operaie ticinesi, è alloggiata in convitto. Il vicesindaco, il cui nome è di difficile identificazione, chiede alla religiosa di inviare in futuro i guadagni della giovane operaia direttamente al suo curatore, Massimo Boscacci, maestro a Signôra. Nella lettera si sollecita suor Edvige a dar riscontro in tempi brevi: il rendiconto delle spese dovrà infatti essere concluso il 5 dicembre successivo, e il Municipio vuole assicurarsi la somma di 48 franchi che deve versare a Boscacci per la tutela della ragazza. Il vicesindaco conclude chiedendo alla Reverenda Madre di tenere sotto sorveglianza Anselmina e le sue sorelle, impiegate nella fabbrica tessile e ospiti del convitto.
Questo è uno dei rari documenti che illustrano un fenomeno diffuso, ma rimasto per anni sommerso: l’emigrazione delle ticinesi verso le regioni più industrializzate della Svizzera orientale e centrale, dove trovano lavoro negli stabilimenti tessili. A partire dalla fine dell’Ottocento, gli industriali tessili si rivolgono ai Municipi ticinesi con l’offerta di un lavoro remunerato per quelle ragazze – orfane, trovatelle o in condizioni economiche disagiate – di cui il Comune deve farsi carico. Oltre al lavoro in filanda, i fabbricanti offrono ospitalità in un convitto adiacente alla fabbrica, retto da religiose. Questa formula garantisce l’invio puntuale al Comune del salario delle ragazze (dedotte le spese per vitto e alloggio), e una rigorosa sorveglianza, a tutela della loro moralità. Anche i parroci dei villaggi vengono sollecitati per invogliare le ragazze a emigrare, con la promessa di un guadagno sicuro e di una vita al riparo dai pericoli. Un argomento, questo, che convincerà molti genitori a lasciar partire le figlie da sole, benché in giovane età. Questo particolare tipo di emigrazione si protrae fino alla fine della Seconda guerra mondiale e coinvolgerà centinaia di ragazze ticinesi.
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