di Roberto Guidi
La chiacchierata con Camilla Parini nella sua casa a Cassina d’Agno è un toccasana: al netto di una situazione che per un’artista professionista come lei è sinonimo di preoccupazione e difficoltà, dalle sue parole emergono ottimismo, voglia di fare, passione.
Quando le chiediamo come e quando tutto è iniziato, Camilla sorride ricordando la ragazzina timida che non osava lanciarsi. «A 14 anni mia mamma mi ha spinta a frequentare un corso di teatro. “Vado solo se c’è anche la mia amica”, le ho risposto. Lei è venuta ma ha smesso presto, mentre io – ai corsi di Giuseppe Valenti e Vania Beretta-Piccoli – ho trovato un luogo dove potermi esprimere». La svolta avviene a vent’anni a un laboratorio estivo del Teatro delle Radici di Cristina Castrillo: «Ho sentito d’essere arrivata nel posto giusto. Con loro ho capito che il confine tra la mia vita e il teatro era molto più sottile di quel che potessi immaginare. Mi hanno dato gli strumenti per attingere al mio universo interiore, riconoscerlo, dargli forma, metterlo in scena».
I genitori di Camilla, come molti altri, alle incognite preferiscono un diploma. «Mi sono laureata alla Supsi in qualità di operatrice sociale, una via che ho abbracciato comunque con interesse e passione». Ma il suo cuore continuava a battere altrove... «Parallelamente frequentavo sempre le sale prove, finché un giorno ho visto l’annuncio degli esami d’ammissione al corso triennale di teatro-danza all’Accademia Paolo Grassi di Milano e ho pensato che fosse la formazione perfetta per me. Chiusa quell’esperienza, tornata in Ticino ho sentito il bisogno di cercare una mia indipendenza artistica: il Teatro delle Radici è casa e lo resterà sempre, però, come in ogni famiglia, quando cresci arriva il momento in cui senti che devi cominciare ad andare per la tua strada».
La strada la porta a creare il Collettivo Ingwer: «In realtà ero solo io… ma non lavoravo mai da sola, anzi, le collaborazioni erano fondamentali e, infatti, nel 2018 hanno portato in maniera naturale alla fusione di Ingwer con Azimut e Atré Teatro e alla nascita di Collettivo Treppenwitz. Ci è difficile definire la nostra proposta artistica: performance, teatro, danza, installazione... Però più che definirci a noi interessa contaminarci l’un l’altro, osare, uscire dalla nostra zona di confort e dai confini in generale».
Se da un lato il fatto di lavorare poco con la voce favorisce ingaggi fuori dal «mercato» italofono, dall’altro il Collettivo Treppenwitz si muove in maniera originale. «Desideriamo conoscere e farci conoscere, spostarci, andare a parlare con i direttori di teatri e festival per capire come funzionano le loro realtà, aprire varchi, favorire sinergie. Questo ci ha permesso, nell’ultimo anno, di poter svolgere una residenza artistica a Sierre e a Lucerna, e proprio a Lucerna abbiamo debuttato con l’ultimo spettacolo “Kiss! (Loving Kills)”, coprodotto dal Lac (nel marzo 2022 arriverà a Lugano, ndr)».
La pandemia ha fortemente penalizzato il settore culturale: come è stato possibile sopravvivere così a lungo a limitazioni e chiusure? «In realtà, ho vissuto questo tempo di arresto come un’opportunità. Sono più interessata al processo che allo stare sul palcoscenico; il lavoro dedicato alla ricerca per me è sacro e non sempre purtroppo si riesce a dedicargli il giusto tempo. In questo senso l’essermi fermata durante la pandemia è stata un’opportunità, perché mi sono riavvicinata a un momento fatto di ascolto, riflessioni, letture, passeggiate…».
Passione, talento, intraprendenza: nello shaker di Camilla Parini c’è tutto questo. E cos’altro? «Tanta burocrazia, qualche lavoro accessorio, far capire che il nostro non è un passatempo bensì una professione... Non è sempre facile, ma amo quello che faccio. Essere artista è la mia maniera di stare al mondo».
«Essere artista è la mia maniera di stare al mondo»