La sequenza è questa: calciobalilla, flipper, «Space Invaders». La propone Alessandro Baricco nel suo saggio del 2018 «The Game», nel tentativo (azzeccato) di tracciare una sorta di mappa della rivoluzione digitale, come facevano i pionieri del vecchio West quando andavano a colonizzare una terra selvaggia di cui sapevano poco o niente. Calciobalilla, flipper, «Space Invaders»: è questa la sintesi della nostra mutazione da soggetti fisici, tattili, concreti a entità virtuali, eteree, liquide. A ogni passaggio, sostiene Baricco, qualcosa si scioglie, perde consistenza, si traduce in un’esperienza più rarefatta ma anche più raffinata e immersiva. Nel calciobalilla i colpi risuonano nella mano, la pallina esiste davvero, il gesto fisico comporta fatica; nel flipper il gioco è imbustato, i suoni sono elettronici, la percezione della pallina passa da due semplici tasti, che ne danno un lontano sentore, meno palpabile; infine, ecco «Space Invaders»: di fisico non vi è più nulla e se da un lato sembra tutto più asettico e compassato, dall’altro l’esperienza del videogame è qualcosa di totalizzante: la pulizia del sistema, la mancanza di attrito, la rapidità dei gesti ci inglobano in una dimensione nuova, immateriale ma definitivamente più coinvolgente di qualsiasi altra vissuta prima d’ora.
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