Battiamo i piedi sulla neve mentre aspettiamo di entrare per la messa di mezzanotte; la neve è appena caduta e non ce n’è molta, alziamo gli occhi per i fiocchi radi che entrano nella luce del lampione. Ho passato la sera accanto al fuoco.
C’erano due buoni ceppi di faggio, mia moglie sferruzzava, i due figli maggiori ornavano il presepe; sentivo acutamente che ogni Natale mi avvicina un poco al silenzio che consuma i vecchi. Perciò sono salito a trovare i genitori: «Vi aspettiamo tutti dopo la messa per il brodo», dice la madre scoperchiando la marmitta del lesso; è un rito che si ripete ogni anno, e intanto che sorveglia la bollitura la sua vasta maternità sogna a uno a uno i nipotini sognare dentro i loro piccoli letti con la scaldiglia e il piumino.
So già che domattina Lorenzo, il più piccolo dei miei figli, verrà presto a togliermi dal sonno per gridare la gioia dei doni. E scommetto che fra i doni costosi che l’attuale benessere ci obbliga a comperare ai nostri bambini e viziarli poi facendo credere loro che al mondo le cose si possono ottenere così, con due o tre giornate di propositi non mantenuti, scommetto che Lorenzo mi porterà da guardare la trombettina.
Siamo tutti ricchi ormai, dai nostri villaggi scendiamo nelle città ad affollare i negozi. Gesù è nato fra lo stallatico a indicarci una scelta precisa, e noi non abbiamo nemmeno più la fantasia di immaginare gli altri due terzi dell’umanità che patiscono la fame, e la patiscono veramente fino a morirne; e nemmeno a Natale ce ne ricordiamo.
da «Delle streghe e d’altro» di Plinio Martini
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