Mons. Grampa, nell’esperienza di un vescovo quale dovrebbe essere la traduzione nella pratica?
«Per rispondere bisognerebbe riferirsi piuttosto alla prima esortazione apostolica di papa Francesco: Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo. Vivere questa gioia, dimostrarla quotidianamente con scelte coraggiose, coerenti, fedeli: una gioia che si rinnova e si comunica. Francesco ci ricorda che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”. Quattro i principi portanti indicati: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte».
Per la vita della diocesi di Lugano cosa significa in concreto? Quali gli elementi di novità? «Questa domanda dovrebbe rivolgerla a chi oggi ha la responsabilità della diocesi. Io rispondo rifacendomi ai suggerimenti di papa Francesco quando parla della trasformazione missionaria della Chiesa, della necessità di una Chiesa in uscita che deve prendere l’iniziativa, accompagnare, fruttificare e festeggiare, sostenendo l’urgenza di un improrogabile rinnovamento ecclesiale. Non mancano provocazioni che descrivono da una parte alcune sfide del mondo attuale e dall’altra denunciano le tentazioni degli operatori pastorali, con riferimento a una serie di “no” che devono far riflettere. No all’accidia egoista, no al pessimismo sterile, no alla mondanità spirituale, no alla guerra tra noi; sì invece alla comprensione delle attuali sfide ecclesiali. Quanto abbiamo preso in considerazione, dibattuto, condiviso, fatte nostre queste provocazioni?».
Come conciliare la predicazione con l’invecchiamento del clero e il calo di vocazioni? Il futuro della pratica religiosa deve pur portare a qualche aggiustamento…
«Tutti dobbiamo sentirci discepoli missionari portatori dell’annuncio da persona a persona nel contesto delle diverse culture, tradizioni e ambiti educativi. Diverso è il problema della predicazione, dell’omelia nella liturgia, che l’attuale ordinamento – almeno nella eucaristia – riserva solo al clero. Ci si domanda se non si possano allargare le maglie strette ed esclusive dell’attuale legislazione. In molti Paesi non si fatica a vedere un laico, una laica, una religiosa a offrire il servizio della predicazione, dove a contare devono essere la preparazione e la competenza più che altre esigenze».
Meno burocrazia, meno spiritualità in stile zapping, meno messe in streaming: quale potrebbe essere la pedagogia della Chiesa per l’uomo del nostro tempo?
«La strada non è unica e occorre fare i conti con la pluralità delle situazioni diverse. Non ci sono ricette automatiche, che vadano bene per qualsiasi contesto. Devono essere proposte aperte, dinamiche e non conservative, che preferiscono il dialogo alle condanne, che non pongano i problemi secondo la logica dell’aut-aut, ma dell’evangelico et-et; che non dimentichino l’attenzione per i poveri e gli ultimi, prestino attenzioni alle fragilità crescenti del nostro tempo, percepiscano l’esigenza di incontrarsi tra persone più che con i mezzi informatici, privilegino la libertà e la comprensione all’impostazione e all’obbligo».
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