«Il Voltamarsina» è un romanzo di piacevole lettura scritto da don Francesco Alberti (1892-1939), fratello della nota insegnante e pedagogista Maria Boschetti-Alberti, e pubblicato nel 1932 dall’Istituto Editoriale Ticinese di Bellinzona. Nella quarta ristampa, l’allora consigliere federale Enrico Celio elogiava l’autore per il sottile umorismo. Don Alberti aveva infatti un vivissimo senso dello spirito, amava le facezie bonarie e gli episodi ridanciani. «Il Voltamarsina» è un’emozione dalla prima all’ultima delle 280 pagine. Si legge d’un fiato e magari si riprende per approfondire caratteri e situazioni o assaporare le sfumature della tipica parlata dei personaggi.
Protagonista del romanzo è un giovane che, per amore di una donna, tradisce il partito meritandosi l’appellativo disonorevole di «Voltamarsina». Fugge in Italia, poi va in America. Per poco non finisce davanti al Tribunale militare per vicissitudini durante la Prima guerra.
Nel saliscendi del tempo e dei colli malcantonesi, spuntano la piccolezza degli uomini grandi e la grandezza degli uomini piccoli. Le lotte politiche, una volta ancor più aspre, sono un aspetto di questa vita ticinese, così vivace e «interessante». Don Alberti guida uomini e cose in modo da non offendere alcuno.
La storia si svolge fra le viuzze dell’immaginario villaggio di Collinasca, attorno al 1904, dove Tommaso, detto «Becia» (nomignolo attribuitogli per un difetto a un occhio), stradino del paese, vorrebbe sposare Rosa. La ragazza gli è contesa da Alessandro, chiamato «Sprüzzéta» perché dà importanza all’apparenza. La ragazza è figlia del signor Comonò, che messi insieme un po’ di soldi in America, era tornato in patria con l’ambizione di diventare niente meno che deputato al Gran Consiglio. Tant’è che il curato di Collinasca, ritenendolo poco intelligente, lo definisce «Cocümer».
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