Una settimana anche con gesti significativi, come il silenzio delle campane dal tardo pomeriggio del giovedì in avanti. «Sono legate le campane – diceva la gente – e aspettava che si slegassero» (Ugo Canonica).
Il silenzio religioso e severo delle campane veniva rotto dal frastuono dei ragazzi di cui parla Angelo Frigerio. «La Pasqua dei miei anni d’infanzia per noi ragazzi costituiva anzitutto un’occasione privilegiata per radunarsi in gruppo e gioiosamente percorrere le stradette del nucleo muniti di solide raganelle, poiché, in quei giorni, ricordando la passione di Cristo, le campane rimanevano mute». Spiega che erano «costruite con legno di castagno e con gli ingranaggi, o rotelle, e linguette ricavate dal legno di corniolo o di bosso».
Andreino Pedrini si sofferma sui tableck, precisando che si trattava di «una tavoletta di legno duro, di forma rettangolare, con incastrato, al centro, un supporto che regge una mazza, pure di legno, fissata attorno a un perno attorno al quale ruota con moto semicircolare».
«E sona ghirighèra invece da campann: sta sü da cö, Giovann, l’è tornaa primavera» scriveva dal canto suo Giovanni Bianconi.
Quale momento particolarmente delicato e sentito all’interno della settimana, è il Venerdì santo: ricordato e vissuto quale pomeriggio di morte e passione. Pino Bernasconi si sofferma, con delicata commozione, sulla Madre in silenzio sotto la croce, giustamente chiamata l’Addolorata.
«Vestida in vèsta negra, Madòna da Mendrís, che pòrta ul lütu al Figlio cun sètt pügnai a rösa»…